Liquida

PROVIAMO VERGOGNA

by on Gen.19, 2007, under G8 genova 2001

Siamo increduli: puo' davvero accadere che la polizia di stato faccia sparire elementi di prova di un processo in corso? Se davvero cosi' stanno le cose il primo sentimento che proviamo e' di vergogna.
Vergogna in quanto cittadini. Abbiamo intrapreso, dopo il luglio 2001, un battaglia di civilta': il nostro Comitato si batte per il rispetto dei diritti costituzionali, calpestati piu' volte, sistematicamente, durante le 'giornate di Genova'.
Ora scopriamo che la polizia di stato arriva al punto di far sparire le due bombe molotov, elementi chiave dell'accusa, fra l'altro individuati durante l'inchiesta grazie alla leale testimonianza di alcuni funzionari di polizia. Un corpo dello stato, a quanto pare, intende ostacolare in tutti i modi il corso della giustizia. Ci pare che la parola adesso debba passare al governo e al parlamento.

Al primo chiediamo un intervento forte e chiaro, a tutela della costituzione, della magistratura e della credibilita' stessa della polizia di stato, al secondo di non perdere altro tempo e di approvare subito l'istituzione di una commissione d'inchiesta sui fatti del luglio 2001, come previsto dal programma elettorale dell'Unione.

Comitato verità e giustizia per Genova

Blitz alla Diaz, sparita la prova contro gli agenti

GENOVA – Dopo l'agente con la coda da cavallo e le firme sui verbali di arresto, ci siamo giocati anche Gutturnio e Colli Piacentini. Sparite nel nulla. Le due bottiglie molotov addebitate ai 93 ragazzi arrestati durante la sanguinosa irruzione alla scuola Diaz, non si trovano più. In quell'ormai lontano G8, luglio 2001, una vita fa, dovevano essere la «prova regina», la conferma della pericolosità dei giovani finiti in manette. Divennero invece il fulcro dell'inchiesta sui poliziotti coinvolti in quella sanguinosa perquisizione. La «prova regina» era falsa. Fabbricata ad arte per incastrare i 93 no global e giustificare così un pestaggio a freddo, violentissimo, una specie di rappresaglia.

Gli ordigni erano stati sequestrati durante gli scontri del pomeriggio, e portati alla scuola da due agenti mentre il blitz era in corso. Sono il fulcro del processo che dall'aprile 2005 si sta celebrando nell'Aula magna del Tribunale di Genova. In Italia, è avvolto in una nuvola di silenzio. All'estero è diverso. Alcune udienze sono state «l'apertura» del telegiornale della Bbc, quando a deporre fu il giornalista inglese Mark Covell, massacrato a calci e pugni dagli agenti davanti al cancello della scuola; altre sono finite in prima pagina sulla Frankfurter Allgemeine, quando venne rievocato il calvario di Lena Zuhlke, vent'anni, tedesca di Amburgo, un anno di ospedale per riprendersi parzialmente dalle fratture e dalle lesioni provocate dalle scarpate dei poliziotti. Qui da noi, il nulla, anche se tra gli imputati vi sono nomi molto importanti della polizia italiana, accusati a vario titolo di falso, calunnia, lesioni gravi.

Eppure di cose ne succedono, nelle due udienze settimanali. Il clima è sempre frizzante. Sulla porta dell'aula ci sono sempre agenti che prendono le generalità di chi entra ed esce. L'udienza di ieri era di quelle importanti, lo testimonia la presenza di tutti gli avvocati degli imputati, evento mai successo dall'inizio del processo. Doveva deporre il dirigente Valerio Donnini, all'epoca responsabile del reparto che raccolse le molotov per strada. La discussione entrava nel vivo, insomma. Il legale di uno degli imputati ha chiesto che venissero mostrate in aula le due molotov. Durante tutta l'inchiesta, i riconoscimenti sono stati fatti tramite foto dei due ordigni, ma in dibattimento viene chiesta la sua ostensione. È uno stratagemma difensivo abbastanza comune. Trattandosi di corpi di reato, le due molotov dovrebbero essere a disposizione del Tribunale. Soltanto che nessuno le ha mai viste.

L'ultima notizia delle due «prove regine» risale alla notte dei tempi. Il 7 maggio 2002, la Procura chiede alla questura di Genova il numero esatto delle bombe incendiarie sequestrate nei giorni del G8. Sono cinque, è la risposta della Digos. Tre sono state distrutte, le altre due sono quelle della Diaz e sono custodite negli uffici della Polizia scientifica. Da lì in poi, nessuno ne ha più saputo nulla. Nei reperti del processo, quelle bombe non sono mai entrate. Nella storia di quest'inchiesta non è la prima volta che si verificano misteriose sparizioni. Era successo già un'altra volta, poco prima del rinvio a giudizio dei poliziotti. Erano scomparsi i tabulati telefonici ottenuti dalla Wind. La questura di Genova sosteneva di averli inviati in procura. Alla fine, vennero ritrovati negli uffici della Squadra mobile. È molto probabile che la sparizione delle molotov sia attribuibile soltanto ad incuria e trascuratezza. Ma quel che emerge dal processo della scuola Diaz è la scarsa collaborazione delle forze dell'ordine quando sono chiamate a indagare su se stesse. Nelle ultime udienze è stata certificata l'impossibilità di identificare un poliziotto dalla fluente coda di cavallo fotografato in primo piano durante l'irruzione. Parla con altri agenti, dà ordini. Nessuno l'ha riconosciuto. Così come nessuno degli altri firmatari del falsissimo verbale di arresto dei 93 no global ha saputo indicare di chi è la quindicesima firma posta sul documento.

L'eccezione si chiama Luca Salvemini, fa il vicequestore a Palermo e nel giugno 2002 venne incaricato dalla procura di Genova di indagare sui falsi commessi dai poliziotti. Lo fece. E la scorsa settimana, si è limitato a raccontare in aula come le due molotov siano state introdotte alla Diaz mezz'ora dopo l'inizio della perquisizione, mentre i migliori investigatori d'Italia parlottavano tra loro nel cortile dell'istituto senza accorgersi di nulla, nel migliore dei casi. La sua deposizione ha inevitabilmente messo in risalto l'omertà e la mancanza di collaborazione degli altri suoi colleghi. Il riassunto delle puntate precedenti finisce qui. In attesa del ritrovamento delle molotov, se mai avverrà, il dibattimento va avanti a scartamento ridotto. Il tribunale ha deciso di «congelare» le testimonianze relative alle bottiglie incendiarie. Senza Gutturnio e Colli Piacentini, almeno per ora i vertici della Polizia sono dispensati dalla spiacevole incombenza.

Fonte: Il Corriere


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