LE CARTE DELLA MEMORIA
by liquida on Mar.05, 2006, under Milano e dintorni
Il materiale sul delitto del Casoretto è tanto ma sparso in mille rivoli. I documenti più importanti stanno accatastati negli armadi del giudice milanese Guido Salvini .Un ex militante del Movimento Lavoratori per il Socialismo ricorda che l’organizzazione teneva un archivio con molti ritagli di articoli di stampa riferibili alle molteplici attività dell’estremismo di destra."C’è ancora questo materiale?-gli chiedo."Certo- mi risponde -lo puoi trovare all’Istituto di Storia della Resistenza,a Sesto San Giovanni".Un lunedì pomeriggio li chiamo,sono gentili."Vieni pure,possiamo darti quello che abbiamo avuto"-mi dicono.Salgo le scale,due persone mi portano un quadernetto con l’indice dell’archivio ufficiale dell’organizzazione ora disciolta.E’ lì che tra mille fogli trovo un vecchio pezzo del quotidiano la Sinistra.Poche righe,scritte di getto il 19 aprile 1981 mentre a Roma era in pieno svolgimento l’inchiesta sui gruppi di estrema destra eversiva."Gilberto Cavallini e Giorgio Vale,fascisti latitanti,sospettati di essere fra i killer del giudice Mario Amato,sarebbero gli assassini di Fausto Tinelli e Lorenzo Jannucci,i due ragazzi di sinistra ammazzati a revolverate a Milano la sera del 18 marzo 1978,in via Mancinelli.Il duplice omicidio è infatti fra le azioni attribuite ai fascisti nell’ambito dell’inchiesta romana sul terrorismo di destra conclusa da pochi giorni.Torna così alla luce la pista nera gridata a gran voce da centomila persone che a pochi minuti dall’esecuzione scesero in piazza e sfilarono in corteo per le vie di Milano".E’ un fatto nuovo,mai emerso.Voglio saperne di più. Così sfoglio quelle pagine ingiallite,ritagli di vecchi giornali corredati da alcuni appunti scritti a mano.Tutto sembra ordinato,raccolto in cartellette rosse.Alla voce "Gilberto Cavallini" trovo un pezzo del Corriere della Sera a firma di Massimo Nava."Cavallini è coinvolto con altri killer neofascisti,in alcuni dei più efferati delitti attribuiti ai gruppi dei Nar e di Terza Posizione:gli assassini del giudice Mario Amato,dei poliziotti Franco Evangelista e Arnesano,del carabiniere di Monza Ezio Lucarelli,dei due carabinieri uccisi nel febbraio 1981,degli studenti milanesi Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci".Chiamo Umberto Gay che a proposito di Cavallini mi racconta qualcosa di inedito."Poco dopo l’omicidio di Fausto e Jaio Alibrandi,Fioravanti e Cavallini passano davanti a via Mancinelli".Alibrandi dice a Cavallini una frase d’effetto: "E’ qui che vi siete fatti i due ragazzi del Leoncavallo ?".Cavallini,secondo il racconto giornalista di Gay, negò con forza più volte.Un legame tra Cavallini e Carminati c’è .Lo sostiene l’ex magistrato Loris D’Ambrosio."Ebbi una segnalazione che il latitante Cavallini aveva intenzione di lasciare l’Italia,attraverso il confine svizzero. Così mandammo la polizia a Gaggiolo".E’ il 21 aprile 1981,tre anni dopo l’uccisione di Fausto e Jaio.Una Renault 5,azzurra,rallenta a pochi metri dal guard rail a fari spenti. A bordo ci sono tre giovani che tentano di passare la frontiera.Sono terroristi di destra.La Svizzera è un rifugio sicuro per l’eversione.Da Gaggiolo esce anche Antonio Braggion,il killer di Claudio Varalli ,e Angelo Angeli.Gli uomini di Roma e Varese sono appostati a pochi metri dalla rete di confine.Stretti in un furgoncino aspettano da ore quella macchina.In una piantina trovata in un covo romano dei Nar ci sono le indicazioni su questa frontiera.Sono le 22 di lunedì,al valico del Gaggiolo,10 chilometri a nord ovest di Varese.Intimano l’alt ma la Renault prosegue.Echeggiano spari e sventagliate di mitra,le pallottole trapassano i vetri della vettura.Due giovani scendono,fuggono a piedi.Si sentono da lontano altri spari. I terroristi alzano le mani e si arrendono. I poliziotti si avvicinano.Un ragazzo che avrà 23 anni giace sul sedile posteriore della macchina con un proiettile conficcato nella testa.E’ Massimo Carminati. A quell’appuntamento i poliziotti attendono però il ricercato Gilberto Cavallini.Nelle tasche di Carminati trovano circa 25 milioni fra lire italiane e dollari,diamanti e gioielli di minor valore,cioè una parte del bottino di numerose rapine che i gruppi neri,in contatto con la malavita comune e la Banda della Magliana,realizzavano.Con Carminati la polizia arresta Domenico Magnetta,l’uomo che conosce le strade ed i passaggi possibili,che ha tenuto i contatti tra l’Italia e la Svizzera e Alfredo Graniti."Cercando Cavallini trovammo Carminati.Non le sembra una coincidenza?"-dice Loris D’Ambrosio.
Secondo il racconto di Izzo alla Digos di Bologna, Carminati sarebbe la cinghia di trasmissione tra Banda della Magliana e destra eversiva. Alle attività della nascente holding criminale partecipano esponenti del neofascismo che vengono mesi prima introdotti nel giro malavitoso da Franco Giuseppucci detto Il Negro e da Danilo Abbrucciati.Il gruppo fa capo a Massimo Carminati,Alessandro Alibrandi e Claudio Bracci.Al giudice istruttore di Bologna,Cristiano Fioravanti afferma che "quelli della Magliana davano indicazioni sui luoghi e sulle persone da rapinare:Carminati,Alibrandi e Bracci devono recuperare i crediti della Magliana e di eliminare persone poco gradite".Giovanni Bianconi nel suo "Ragazzi di malavita" racconta."I contatti tra i ragazzini del terrorismo nero e i grandi della Magliana cominciarono tra la fine del 77 e l’inizio del 78,quando qualcuno dei neofascisti era minorenne. A quell’epoca la sigla dei Nar non esisteva,ma i giovani spontaneisti dell’estremismo di destra avevano già i loro morti,provocati e subiti. A parte la guerra politica che combattevano erano affascinati dalle armi,dal guadagno facile,dalla vita da duri e furono comode prede di chi si faceva pochi scrupoli ad utilizzarli.Cominciarono a portare a ricettatori e trafficanti di droga i bottini delle loro rapine a gioiellerie e filatelie;i primi guadagni li fecero così,poi passarono alle banche.In seguito,dopo aver dato prova di affidabilità ed efficienza,ai piccoli terroristi che crescevano furono affidati compiti più delicati come il recupero crediti e qualche omicidio".Cristiano Fioravanti,fratello di Giusva viene interrogato il 21 giugno 1985."Vengo invitato a riferire in particolare su quanto mi risulta sulla Banda della Magliana e sui rapporti di questa banda tenuti con la destra. I primi contatti avvennero in epoca precedente alla morte di Franco Anselmi,il 6 marzo 1978.Successivamente essi furono mantenuti dal gruppo che faceva capo a Massimo Carminati,Claudio Bracci e Alessandro Alibrandi mentre io mi limitai a compiere un attentato ad un benzinaio posto in via perpendicolare alla pineta Sacchetti,Valle del diavolo"(dalla requisitoria del Pm Giovanni Salvi,6 aprile 1991,nell’istruttoria dell’autorità giudiziaria di Roma sul delitto Pecorelli).E’ la prova che nei giorni dei preparativi per l’omicidio di Fausto e Jaio a Roma si salda quel legame tra nascenti Nar e Banda della Magliana.Ma c’è di più.Nel gennaio 1978 i cosiddetti "fascisti banditi" hanno necessità di rivendere preziosi e di riciclare i proventi dalle rapine, e trovano Giuseppucci e Abbrucciati,pure loro di destra.Secondo Maurizio Abbatino "Franco Giuseppucci aveva messo Carminati in contatto con Santino Duci,titolare di una gioielleria in via Colli Portuensi,il quale ricettava i preziosi provento di rapine ad altre gioiellerie e orefici,liquidando a Carminati il contante che questi riciclava e reinvestiva mediante lo stesso Giuseppucci".Delle attività di Carminati parla il giudice istruttore Lupacchini attraverso il racconto del pentito della Magliana,Maurizio Abbatino."Erano attività che per certo Carminati e i suoi svolgevano per conto di Franco Giuseppucci ma non nell’interesse della banda,era il recupero crediti nei confronti dei debitori che si rifiutavano o non erano in grado di far fronte ai loro impegni.Era questa un attività che svolgevano anche nel proprio interesse,considerato che anche il denaro del gruppo Carminati era oggetto di prestiti a strozzo di Giuseppucci.Per capire meglio i rapporti tra Giuseppucci e Massimo Carminati occorre tener presente il comportamento della banda,stante l’attenzione da cui era circondata,si era imposta per dare all’esterno l’impressione di un frazionamento in gruppi tra loro scollegati".Pochi mesi prima,nel luglio 1977 con l’uccisione dell’allibratore clandestino Franco Nicolini,si tiene il battesimo di fuoco della Banda della Magliana.Gianni Flamini nel suo libro "La banda della Magliana"(Kaos Edizioni) ricorda quali sono le alleanze che si mettono in campo."Oltre al legame con la camorra cutoliana,attraverso Nicolino Selis la banda acquisisce il contributo tecnico politico del professor Aldo Semerari a cui fanno riferimento vecchi camerati come l’anziano professor De Felice e il giovane terrorista Paolo Aleandri :i tre esponenti neofascisti sono legati al Venerabile Maestro della loggia P2 Licio Gelli e alla P2 sono affiliati magistrati,dirigenti delle forze dell’ordine e soprattutto i capi dei servizi segreti sia di quello militare(Sismi,comandato dal generale Giuseppe Santovito,tessera 1630) che civile(il Sisde,diretto dal generale Giulio Grassini,tessera 1620)".Importanti suggerimenti su queste alleanze giungono dalla requisitoria del processo d’appello sulla strage di Bologna.E’il sostituto procuratore della Repubblica Franco Quadrini che parla."Accade spesso e necessariamente che i contropoteri gravitanti al di fuori della legalità dell’ordinamento,o alcuni di questi,si incontrino tra loro.Le ragioni possono essere molteplici:la comunanza di intenti,cioè la necessità di nascondere se stesse e di coprire le proprie azioni illegali;l’ulteriore necessità dei protagonisti dell’eversione politica di compiere atti tipici della delinquenza comune,per sfida o per bisogno di autofinanziamento:l’esigenza di aiuto reciproco,rivolgendosi sempre più spesso le organizzazioni criminali ai circuiti propri del mondo politico-istituzionale che,per ragioni di profitto e di impunità,contatta quelle organizzazioni ai fini di vantaggio e di strumentalizzazione politica. Così è avvenuto anche nella realtà dei collegamenti vissuti tra la criminalità politica e la delinquenza comune,costituita dalla cosiddetta banda della Magliana."
Massimo Carminati prende quota nel suo gruppo ma anche nella Banda e si vanta di avere appoggi anche all’interno della polizia.Lo dirà ad un altro affiliato della Magliana,Claudio Sicilia,a proposito delle indagine sulla morte del tabaccaio Teodoro Pugliese,compiuto da Albrandi e Carminati ."Carminati si disse molto preoccupato di una richiesta di accertamento fatta dal pubblico ministero nel corso di un processo su un’impronta digitale rilevata sull’auto rubata e usata per l’omicidio.In un altro colloquio Carminati mi disse che tramite conoscenze altolocate alla Criminalpol era riuscito a contattare il perito incaricato dell’indagine o comunque ad arrivare a persona vicina,sempre della Criminalpol così da alterare l’impronta oggetto dell’accertamento".(interrogatorio del 7 novembre 1986).C’è un rapporto dei carabinieri del 1986 citato nel mandato di cattura del giudice di Roma Lupacchini ."E’ un personaggio notoriamente collegato al gruppo della Magliana con il quale ha condiviso non pochi interessi finanziari.Noto appartenente alle organizzazioni eversive di estrema destra come Terza Posizione e Nar,è risultato collegato ad elementi di spicco della Banda della Magliana,in particolare con Maurizio Abbatino e Ettore Maragnoli.E’ segnalato come componente di un sodalizio criminoso facente capo allo stesso Maragnoli e a Giorgio Paradisi,dedito anche all’organizzazione del gioco d’azzardo e al traffico di sostanze stupefacenti".
A Milano Gilberto Cavallini e il gruppo Nar possiede un punto di appoggio,poco distante dal quartiere Casoretto.E’ la carozzeria Luki di via Ofanto,proprio sotto i ponti della tangenziale est,al Parco Lambro.E’ un posto isolato,adatto per riciclare le auto rubate.La Banda della Magliana cerca un patto di ferro con Francis Turatello per spartirsi l’ingente bottino del narcotraffico in un mercato praticamente vergine.Fausto e Jaio gireranno per quei luoghi, Casoretto, Parco Lambro,quartiere Lambrate-Città Studi.Torneranno a casa e registreranno le loro impressioni e le informazioni sui nastri Grundig di Fausto.I contatti tra gruppi della destra romana,la malavita organizzata e il potere politico-criminale sono all’ordine del giorno.E Milano fa da sfondo alle crescenti attività.Indicazioni specifiche di un intreccio di interessi della Banda della Magliana,ambienti politici e Cosa Nostra sono emerse nell’ambito delle indagini sul tentato omicidio di Roberto Rosone,vicepresidente dela Banco Ambrosiano commesso a Milano il 27 aprile 1982.A sparare fu Danilo Abbruciati che perse la vita in un successivo conflitto a fuoco e Bruno Nieddu.Al processo erano imputati Ernesto Diotallevi,Flavio Carboni e indiziati Pippo Calò(il cassiere della mafia) e GianMario Matteoni.Ma è con il rapimento Moro che si stabilisce un contatto ufficiale tra la Magliana e i servizi ,il SuperSismi di Santovito,Belmonte e Musumeci legati al progetto di LicioGelli.Passano poco più di trenta giorni da quel 16 marzo 1978 e il segno dei tempi viene scandito dai comunicati ufficiali delle Brigate Rosse. Un’anonima telefonata al quotidiano il Messaggero annuncia "l’avvenuta esecuzione del presidente democristiano".Viene fornito l’indirizzo esatto dove poter recuperare la salma. Moro,secondo l’interlocutore,sarebbe immerso "nei fondali limacciosi del lago Duchessa,località Cartone(Rieti),zona confinante tra l’Abruzzo e il Lazio".(Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani e sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro)E’ un depistaggio.Chi materialmente scrive il documento è Antonio Chicchiarelli,detto Tony il falsario,un uomo della Banda della Magliana,è in ottimi rapporti con Massimo Sparti e con Danilo AbbrucciatiCon Massimo Carminati è amico di lunga data.La strada che porta al falsario della Magliana conduce direttamente agli ambienti finanziari,politici che stanno dietro alla banda. L’interesse economico della holding per le indagini sul caso Moro e all’omicidio Pecorelli è a 360 gradi.Secondo la Procura della Repubblica di Roma che stila la domanda di autorizzazione a procedere contro Andreotti"durante il sequestro Moro fu dato a Chicchiarelli l’incarico di dattiloscrivere il comunicato della Duchessa,incarico che il Chicchiarelli ha assolto con particolare perizia,la stessa usata nel comunicato in codice n.1 dove il falsario si è avvalso di una testina rotante analoga a quella utilizzata dalle Br per confezionare i documenti veri".C’è un episodio che lega queste nuove attività all’omicidio Fausto e Jaio.Il 21 Ottobre 1981,ad Acilia,vengono ammazzati il capitano di polizia Antonio Straullu e l’agente Ciriaco Di Roma.La rivendicazione è simile a quella del Casoretto.In tutte e due c’è il nome di Franco Anselmi.Straullu aveva portato a buon fine le indagini sul ritrovamento del borsello di Tony Chicchiarelli,avvenuto il 14 aprile 1979,pochi giorni dopo l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli,da parte di alcuni studenti americani.Lo consegnarono ad Antonio Cornacchia,allora comandante del reparto operativo dei carabinieri e affiliato alla Loggia P2.Il borsello contiene undici pallottole calibro 7,65,una testina rotante IBM,un mazzo di nove chiavi,due cubo flash,fazzolletini di carta identici a quelli usati per tamponare i fori delle pallottole nel corpo di Aldo Moro,una cartina autostradale della zona di Amatrice,Lago di Vico e Lago della Duchessa.Nel borsello del falsario si troveranno le fotocopie di quattro schede che indicano i nuovi bersagli delle Brigate Rosse,Pietro Ingrao,l’avvocato Giuseppe Prisco,il giudice Achille Gallucci e Mino Pecorelli.Straullu aveva firmato tutti i rapporti inerenti al ritrovamento di quel borsello.Le indagini del poliziotto avevano già individuato l’attività di Chicchiarelli,il ruolo della Magliana nel caso Moro.Straullu era a conoscenza dei legami tra i fascisti banditi e i servizi segreti di Santovito,Musumeci,Belmonte.Per i magistrati romani "il borsello,confezionato e fatto rinvenire dalla stessa persona,vuole chiaramente ricongiungere ad unità il delitto Pecorelli appena avvenuto ed il delitto Moro con inespresso ma esplicito riferimento ai falsi comunicati delle Brigate Rosse".Lo stesso Chicciarelli viene ucciso,tolto di mezzo perché sapeva troppo .Lo scambio di favori potrebbe essere continuato fino al 20 marzo 1979.Il protagonista sarebbe ancora Massimo Carminati ;secondo il racconto di vari pentiti , ucciderebbe il giornalista Mino Pecorelli,legato pure lui ai settori deviati dei servizi,affliato alla loggia P2,custode di una parte dei segreti dei memoriali di Aldo Moro,trovati,coincidenze del caso,proprio nel covo brigatista di via Montenevoso 8,davanti alla casa dove abitava Fausto Tinelli.
Il documento è di quelli importanti.Nella domanda di autorizzazione a procedere contro il senatore Giulio Andreotti si parla di elementi frutto di serrate indagini che avrebbero portato ad una conclusione non provata nel processo di primo grado: Pecorelli poteva conoscere il contenuto di materiale inedito,proveniente dal sequestro dell’onorevole Aldo Moro,rinvenuto in via Montenevoso.Il 6 aprile 1993 Tommaso Buscetta dichiara:"Secondo quanto mi disse Gaetano Badalamenti,Mino Pecorelli stava appurando cose politiche collegate al sequestro di Moro.Giulio Andreotti era appunto preoccupato che potessero trapelare quei segreti che anche il generale Dalla Chiesa conosceva. Pecorelli e Dalla Chiesa sono infatti cose che intrecciano tra loro".Secondo il sostituto procuratore della Repubblica di Roma Giovanni Salvi e il Procuratore Vittorio Mele "nel materiale riconducibile al covo di via Montenevoso vi erano ampi riferimenti alla persona del Senatore Andreotti e in particolare alla vicenda Caltagirone-Italcasse.Sia in relazione agli assegni emessi dalla Sir che in relazione al piano di salvataggio del gruppo Caltagirone per l’esposizione verso l’Italcasse,è emerso un interesse di gruppi finanziari e societari riconducibili a Giuseppe Calò,il cassiere di Cosa Nostra,e Domenico Balducci della Banda della Magliana".Tra i possibili esecutori si fa il nome di Massimo Carminati."Si è quindi valutato il materiale probatorio già raccolto circa la possibile individuazione degli esecutori materiali del delitto in soggetti appartenenti alla Banda della Magliana.Plurime convergenti dichiarazioni(Sordi,Calore,Tisei,Bianchi,Califano,Cristiano Fioravanti) indicavano i possibili esecutori materiali del delitto in Valerio Fioravanti e Massimo Carminati,esponenti dell’eversione di destra ma gravitanti nell’area della Banda della Magliana .(tratto dalla domanda di autorizzazione a procedere contro il senatore Giulio Andreotti)Buscetta il 6 Aprile 1993 davanti al Procuratore della Repubblica di Palermo Giancarlo Caselli,non è avaro di particolari."Come ho già riferito nel precedente interrogatorio Stefano Bontate,nel corso di una conversazione che ebbi a Palermo nel 1980,mi disse che l’omicidio Pecorelli era stato compiuto da Cosa Nostra da lui e da Badalamenti,su richiesta dei cugini Salvo.Quello di Pecorelli era stato un delitto politico voluto dai Salvo in quanto a loro richiesto dall’onorevole Giulio Andreotti".Il giornalista Mino Pecorelli venne freddato da un individuo che indossava un impermeabile bianco e una pistola 7,65,proprio come Fausto e Jaio al Casoretto.Coincidenze?"Pecorelli,raggiunta la propria auto(una Citroen verde posteggiata all’angolo tra via Tacito e via Orazio ,a Roma),mise in moto e ingranò la marcia;in quel momento,un individuo che indossava un impermeabile bianco bussò al finestrino;avvertendo il pericolo il giornalista allungò la mano per afferrare la pistola che teneva nel cruscotto ma venne raggiunto da un colpo calibro 7,65 alla bocca;prima di dileguarsi il killer aprì lo sportello della vettura e colpì Pecorelli con altri proiettili alla schiena,lasciandolo riverso senza vita sul sedile.Erano le 20,40".("I veleni di Op,le notizie riservate di Mino Pecorelli,edizioni Kaos,di Francesco Pecorelli e Roberto Sommella) Perché uccidere un giornalista?Il motivo del movente lo troviamo leggendo attentamente l’articolo che Pecorelli scrisse il 24 ottobre 1978,in occasione del primo ritrovamento dei memoriali di Moro.Il titolo è assai eloquente:"Memoriali veri,memoriali falsi"."Nella base milanese di via Monte Nevoso,accanto ai documenti strategici di grande importanza e,probabilmente sottovalutati dagli inquirenti c’erano la ricostruzione del sequestro Moro secondo il punto di vista della direzione strategica dei brigatisti,considerazioni autocritiche sull’operazione militare di via Fani e sulla gestione degli sviluppi,il memoriale scritto da Moro durante i 54 giorni di prigionia,gli schemi di alcune lettere che Moro non fece in tempo a scrivere,i testi di sei lettere anch’esse non inviate al destinatario e alcuni nastri magnetici con la viva voce del Presidente Moro"(Rivista OP del 24 ottobre 1978).Anche Tommaso Buscetta tira in ballo come esecutore materiale dell’omicidio Pecorelli Massimo Carminati ma non fa il nome di Giusva Fioravanti.Il pentito di mafia entra nei particolari."Ad ucciderlo fu Massimo Carminati,neofascista e killer della Banda della Magliana,e Angelino il biondo,alias Michelangelo La Barbera,uomo d’onore della famiglia di Passo di Rigano,un tempo legato ai boss mafiiosi Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo".Un altro pentito Antonio Mancini dirà che "sarebbero stati loro su richiesta dei cugini Salvo,i quali agivano per conto di Giulio Andreotti;committente dell’omicidio sarebbe stato l’ex magistrato fedelissimo ad Andreotti,Claudio Vitalone".( tratto dagli interrogatori di Buscetta e Mancini) .Sfoglio le decine di pagine che compongono la domanda di autorizzazione a procedere contro Andreotti.Sono fitte,piene di dati,indizi."Molti elementi potrebbero condurre a ritenere che gli esecutori materiali siano da ricercare in quel gruppo di criminali comuni e terroristi di destra aggregatosi intorno alla Banda della Magliana. Certamente,peraltro,le munizioni che furono utilizzate per uccidere Pecorelli provengono da quel ristretto lotto di cartucce al quale appartengono anche i proiettili sequestrati presso il Ministero della Sanità a Roma e nella disponibilità,tra gli altri,proprio di Massimo Carminati."Sempre dall’arsenale Carminati fornirà il mitra ,la valigetta e il contenuto da utilizzare nel depistaggio sul treno Taranto-Milano per sviare le indagini sulla strage del 2 agosto 1980 a Bologna.Il quadro si fa sempre più inquietante. Ma Carminati,come Calò,Vitalone,La Barbera,Andreotti saranno assolti dall’omicidio Pecorelli.
Sono sempre le carte a parlare.Le carte della memoria.Gran parte dei segreti del Casoretto stanno nascosti nei cassetti del giudice Mario Amato.Lui indica un percorso da seguire. Nar,Magliana,apparati dello Stato.E’ ancora all’inizio della sua indagine.Non conosce ancora gli elenchi della P2,nè le connivenze tra quei fascisti di borgata e il sottobosco affaristico che li circonda.E’ agli albori delle inchieste sulla destra eversiva.Per questo è stato ammazzato."Poco dopo l’omicidio di mio figlio mi recai a Trento- dice Danila- Attraverso un giornalista del quotidiano Alto Adige ebbi il sentore che la magistratura era sulla pista che portava ad ambienti di destra legati alla criminalità organizzata.Il giudice Carlo Palermo mi disse di aver parlato con il giudice Mario Amato.Era arrivato a scoprire che Fausto e Jaio erano stati uccisi da un commando venuto da Roma.Disse che erano fascisti.Amato lavorava su due casi almeno:le attività della destra eversiva a Roma e il caso dell’autonomo Valerio Verbano.Presi un appuntamento con Mario Amato ma il giudice venne ucciso qualche giorno prima.Volevo raccontargli i miei sospetti ed avere da lui delucidazioni". Amato e’ giunto alla verità anche sul caso del Casoretto.Le sue carte vengono riprese dai magistrati D’Ambrosio ,Capaldo,Giordano,Guardata e Macchia.Un caso per certi versi simile a quello di Valerio Verbano,ucciso sotto i colpi dei Nar il 22 febbraio 1980.Valerio come Fausto e Jaio ha diciotto anni,studente del terzo scientifico,militante dei collettivi autonomi.Gli sparano mentre torna a casa da scuola,sotto gli occhi dei suoi genitori,legati e imbavagliati.Gli assassini sono tre.Uno di loro spara con un revolver di grosso calibro,cromato:un colpo secco alla nuca stronca la sua giovane vita di ragazzo di borgata,tra i palazzoni del quartiere Valmelaina,estrema periferia di Roma.Uno dei killers porta un impermeabile bianco.Il padre Sardo Verbano,racconta al Corriere della Sera gli ultimi secondi di vita di Valerio."Erano le 12,50.Rina,mia moglie,ed io abbiamo sentito suonare il campanello. C’era un giovane con uno zuccotto di lana in testa che ha chiesto di Valerio.Non le ha dato il tempo di rispondere e le è saltato addosso;intanto sono entrati altri due giovani.Avevano i passamontagna.Io ero in cucina.Ho sentito un urlo e dei rumori. D’istinto ho afferrato una sedia ma mi hanno subito immobilizzato:uno mi ha dato un calcio ai testicoli e sono caduto.Ci hanno trascinato nella camera da letto e ci hanno legato mani e piedi con un nastro adesivo".Così i coniugi Verbano aspettano la fine di loro figlio.Trascorrono cinquanta minuti e alle 13,40 Valerio apre la porta di casa.Nessuno assiste alla scena. I genitori riferiscono di "aver sentito i rumori di una colluttazione,poi si udì lo schianto di vetri in frantumi e un colpo soffocato".E’ la pistola che lo uccide mentre Valerio grida a voce alta "mamma,mamma,aiuto".Il 19 settembre 1980,qualche mese dopo la morte di Verbano e del giudice Amato ,emerge dalle carte un filo che lega i due omicidi.Valerio scheda uno a uno i militanti dell’estrema destra romana,le attività segrete dei Nuclei Armati Rivoluzionari.Con pazienza e ricchezza di informazioni,Verbano raccoglie un dossier fitto di nomi e cognomi e di episodi tra cui l’uccisione di Roberto Scialabba,Ivo Zini,Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci,Walter Rossi.Quel fascicolo lo acquisisce Mario Amato :il magistrato trova strano che un giovane di sinistra è in grado di entrare in possesso di tanti dettagli sull’estremismo nero. I giudici di Bologna sono convinti che gli omicidi di Valerio Verbano e di Amato sono connessi e il legame sembra essere proprio il contenuto del dossier.Siamo nell’aprile 1979.Valerio Verbano viene arrestato per la detenzione di una pistola 6,35.Gli viene sequestrata una macchina fotografica e una quantità consistente di materiale scritto come quaderni,appunti,agendine.E’ quello che Valerio raccoglie sulle attività illegali della destra romana,ragazzi di quartiere come lui,figli inquieti della piccola borghesia.Intende preparare un libro bianco sugli omicidi che i Nar avevano compiuto tra Milano e Roma.In quelle carte vengono annotati fatti specifici tra cui la "trasferta" in via Mancinelli,indicate alcune rapine di autofinanziamento.E raccolti cenni sulla nascita dei Nar,sui dissidenti di Terza Posizione.Dopo averlo ucciso i tre killer rovistano ovunque perché evidentemente cercano proprio quel dossier. I difensori di Verbano tentano di prendere visione del materiale sequestrato ma gli viene risposto che di quel dossier non vi e’ traccia.Il fascicolo ricompare dopo la formalizzazione dell’inchiesta,il giudice istruttore Claudio D’Angelo passa una copia del materiale raccolto da Valerio Verbano nelle mani di Mario Amato che lavora a decine di processi riguardanti fascisti.Sono fogli preziosi.Lì Amato trova i riscontri a quanto ha già scoperto da solo.Come la pista che porta ai killer di Fausto e Jaio.Amato non ha trovato le prove ma e’ giunto ad accostarsi alla verità.Manca poco.Giusto il tempo per vivere.Ai suoi colleghi lascia una frase che sa di testamento."Da solo non ce la faccio più".Nel suo isolamento Mario Amato ricostruisce pazientemente le mosse della destra eversiva,delle uccisioni dei giorni precedenti,delle attività di autofinanziamento.Parla spesso della sua convinzione che l’organizzazione fascista Ordine Nuovo,si fosse ricostituita sotto altro nome,dopo lo scioglimento ufficiale decretato dal ministero dell’Interno. "Ma chi sono i nuovi neri"-si chiede il giudice. E fornisce un’appassionata risposta."Il vertice dell’organizzazione-scrive- pesca nell’ambiente dei giovanissimi,appartenenti alla media e all’alta borghesia,figli di professionisti.Vengono da famiglie per bene.Insomma tra loro potrebbe esserci anche mio figlio"(tratto dal settimanale L’Espresso del settembre 1980).Amato e’ instancabile e meticoloso,al punto di crearsi antipatie tra i suoi colleghi e con i legali degli imputati.Dopo pochi mesi dal suo trasferimento dalla procura di Rovereto diventa lui il titolare delle inchieste sul terrorismo di destra,il depositario della memoria storica.Rigido mentre applica le leggi,non accetta compromessi e quando il giudice concede a qualche imputato la libertà provvisoria c’e’ sempre da aspettarsi il suo puntuale ricorso alla sezione istruttoria. A Rovereto lo ricordano ancora oggi come il magistrato che si e’ particolarmente battuto contro la piaga degli infortuni nelle fabbriche e in difesa della salute pubblica.Il giudice alza il tiro dello scontro e attraverso gli appunti di Valerio Verbano ricostruisce ad uno ad uno gli omicidi che hanno insanguinato le piazze tra il 77 e il 78.Lui lavora da solo. I suoi capi non gli affiancano altri colleghi in questa pericolosa attività e più volte lo fa presente ai vertici della procura.E’ il 23 giugno 1980.Amato esce di casa,come tutti i giorni e se ne va a piedi alla fermata dell’autobus. Dall’altra parte della strada si scorge una moto di grossa cilindrata,guidata da Giorgio Vale,Drake per gli amici.La moto si muove adagio.Alla guida c’è Vale,un giovane robusto,casco integrale calato sulla faccia,giubbotto blu.Sul sellini posteriore c’è Gilberto Cavallini,vestito abbastanza elegantemente di chiaro.Siamo all’altezza della fermata,Cavallini scende e aggirando la vittima ferma all’ombra di un platano,gli si avvicina alle spalle. L’azione è fulminea.In pochi secondi il killer estrae una pistola a tamburo,la punta alla nuca di Amato,proprio vicino all’orecchio destro e fa fuoco.Il giudice cade a terra sulla schiena,senza un gesto,gli occhi spalancati,le mani piegate in avanti,mentre la gente intorno scappa terrorizzata.Anni dopo la sentenza della Corte d’assise d’appello di Bologna rende giustizia al giudice Amato."Gilberto Cavallini ammetteva ogni addebito precisando che colui che era trovato con lui il giorno del delitto era Giorgio Vale e che la decisione di uccidere il dottor Amato era stata adottata da loro due in combutta con Valerio Fioravanti".Con Amato svanisce anche la possibilità di giungere nei primi anni Ottanta alla soluzione del duplice omicidio:senza l’ausilio dei computer e delle tecnologie informatiche il giudice trascrive su brogliacci un pezzo della memoria,ricostruito le connessioni tra destra eversiva e malaffare,forse intuito i legami tra sottobosco finanziario, economico e potere politico. I suoi nemici lo hanno capito. Così lo hanno eliminato prima potesse entrare nel vivo dell’inchiesta.
Perchè sono stati eliminati due ragazzi al Casoretto?Per coprire quale intrigo?C’è una spiegazione ai misteri?Sono le carte dei giornalisti.Molti di loro vanno vicini alla soluzione. Paolo Franchi,ora editorialista del Corriere della Sera,il 24 marzo 1978 sulle pagine di Rinascita prova a trarre qualche conclusione."Lorenzo Iannucci,Fausto Tinelli.Non sono nomi noti,questi dei due ragazzi assassinati a sangue freddo a Milano,mentre stavano andando a sentire un concerto in uno dei numerosi centri sociali di Milano,il Leoncavallo.Due ragazzi qualsiasi,proprio per questo espressione emblematica di una realtà giovanile diffusa. I killer che li hanno uccisi due giorni dopo il rapimento Moro,secondo un copione ormai classico della strategia della tensione hanno voluto,con ogni probabilità colpire nel mucchio. Fascisti,squadroni della morte o uomini di un racket della droga pesante che hanno lanciato un messaggio di morte in risposta alla battaglia di massa contro l’eroina che una parte cospicua del movimento giovanile va conducendo?L’interrogativo non ci sembra in fondo determinante;e non solo perché lo spaccio della droga è legato a triplo filo con il neofascismo. L’obiettivo di fondo rimane sempre lo stesso:accelerare la spinta alla criminalizzazione di una fascia estesa di nuove generazioni".Ennio Elena sull’Unità decide una posizione."Perché Fausto e Jaio,dunque?-si chiede il giornalista- Una verità è comunque chiara:chi stroncò le loro giovanissime esistenze si propose di scatenare altre violenze,di innestare una spirale di ritorsioni. Milano parò quell’attacco,sventò quell’insidia.Il pericolo più grave era l’obiettivo su cui puntavano gli stateghi del terrore:la rottura dell’unità popolare,la reazione violenta di chi non cerca alleati ma solo nemici,veri o presunti".Leggo le centinaia di pagine di volantini e dichiarazioni del Leoncavallo.Sono denunce.Qualcuna va nella stessa direzione ."Ad ucciderli furono elementi della famigerata Banda della Magliana,organizzazione malavitosa romana legata ai servizi segreti di cui compie il lavoro più sporco e allo stesso tempo si prodiga per grossi traffici di eroina e traffici scambi di armi,in cui i Nuclei Armati Rivoluzionari trovano una punta d’appoggio"(tratto da un volantino-ricostruzione del Centro).Adolfo Maffei del Giorno preferisce commentare quel giorno dei funerali di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci.Sono ricordi in bianco e nero."L’urlo straziato della mamma di Jaio ha investito la piazza mentre sfilavano migliaia e migliaia di giovani:il pianto dirotto della donna,della sua disperata commozione.Si è conclusa così un’altra giornata amara per Milano,un’altra occasione di tristezza,fortemente appesantita dall’interrogativo che si sono posti i 100 mila che hanno salutato Fausto e Jaio.Perchè sono stati uccisi?".