Cure per guarire la terra: ci sono solo otto anni di tempo
by liquida on Mag.08, 2007, under Articoli
Bangkok: Dopo la diagnosi sui mali della Terra causati dai mutamenti del clima, ora sono pronte anche le terapie d’urto: dalle energie rinnovabili ai biocarburanti, senza escludere il nucleare; dalle riforestazioni al seppellimento dell’anidride carbonica.
E un nuovo stile di vita è richiesto nei comportamenti individuali, che devono puntare al risparmio energetico. L’elenco delle cure contro la febbre della Terra è stato finalmente concordato ieri a Bangkok dagli esperti dell’Ipcc, il gruppo intergovernativo sui mutamenti climatici istituito dalle Nazioni Unite. La versione originale del rapporto occupa un volume di oltre mille pagine e ha richiesto mesi di lavoro. Ma anche la sua versione ridotta, un fascicolo di 35 pagine indirizzato ai «decisori politici», ha rappresentato una fatica immane. I fisici, gli ingegneri e gli economisti che l’hanno messa a punto dopo cinque giorni di dibattito a porte chiuse, sono stati investiti dalle pressioni di governi e gruppi di potere che non gradivano questa o quella soluzione. Si è temuto anche il rinvio del vertice: alla fine gli scienziati hanno resistito agli attacchi e completato il lavoro. «Noi non privilegiamo questa o quella soluzione. Spetterà ai decisori politici stabilire cosa è meglio fare nei propri Paesi. Noi non raccomandiamo, per esempio, il nucleare piuttosto che le rinnovabili. Diciamo di fare presto. Non c’è rimasto molto tempo per arrestare l’ascesa di gas serra, delle temperature, dei disastri climatici». Viene fornita anche una scadenza: entro il 2015, al massimo 2030, si dovrà fermare la crescita dei gas serra (obiettivo «stabilizzazione»), le cui concentrazioni per ora crescono di anno in anno; dopo si dovrà progressivamente ridurli. «Se invece si continua come negli ultimi 30 anni, periodo in cui si è registrata una crescita del 70% dei gas serra, le loro concentrazioni supereranno il limite di sicurezza per l’atmosfera del nostro pianeta», ammoniscono i rappresentanti Ipcc. Attualmente le concentrazioni della CO2 atmosferica hanno raggiunto le 385 parti per milione.Gli scienziati ritengono che non si debba oltrepassare la fascia di pericolo di 450-650 parti per milione, altrimenti si rischia di superare i 2 gradi di aumento delle temperature medie (oggi siamo a +1); il che comporterebbe, oltre alla scomparsa di gran parte della criosfera terrestre (calotte polari e ghiacciai), anche il sollevamento dei mari.
L’elenco delle soluzioni tecnologiche suggerite dagli esperti Ipcc è suddiviso per comparti produttivi. Quelle energetiche comprendono le rinnovabili come solare, eolico, biomasse e idroelettrico, ancora poco sfruttate. L’alternativa nucleare è rimasta nel rapporto, malgrado il tentativo di alcuni ambientalisti di rimuoverla a causa della difficile gestione delle scorie. Per quanto riguarda gli idrocarburi, gli specialisti ricordano che il gas è preferibile, in quanto emette meno CO2 del carbone. «In prospettiva, verso il 2030, quando sarà matura la tecnologia della cattura e dello stoccaggio geologico della CO2, un 10% delle centrali elettriche a idrocarburi potrà evitare all’atmosfera l’immissione di questo gas serra, che verrà pompato all’interno di giacimenti esausti», prevede Ogundale Davidson, copresidente Ipcc. Ma per raggiungere e superare il traguardo della stabilizzazione, bisognerà mettere in campo anche strumenti economici utili a orientare imprese e cittadini: carbon tax, incentivi per prodotti energeticamente più efficienti, certificati verdi. Tutto ciò costerà eccessivi sacrifici? «No, perché i vantaggi saranno superiori — assicura Bert Metz, l’altro copresidente Ipcc —. I costi delle riduzioni da affrontare da qui al 2030 sono stimati da 0.12 a 3 punti di Pil per anno. A fronte dei quali si avranno vantaggi sulla stabilità energetica e sulla salute perché meno CO2 equivale a minore inquinamento». Il rapporto sulla mitigazione è il terzo reso noto dall’Ipcc in pochi mesi, dopo quello sulle basi scientifiche del cambiamento climatico di Parigi e quello sull’adattamento ai fenomeni avversi di Bruxelles. «È un rapporto tecnico, che non impegna i decisori politici — ricorda il professor Marco Galeotti, delegato italiano, e responsabile Clima della Fondazione Mattei —. Il nostro auspicio è che questo lavoro ora porti a discutere sul futuro del Protocollo di Kyoto con maggiore consapevolezza, anche quei governi come Usa e Cina che ancora non partecipano a riduzioni vincolanti».