Liquida

QUEL TRENO CHE PORTA A ROMA

by on Mar.07, 2006, under Fausto e Iaio

La corsa degli assassini si dirige verso in Stazione Centrale,a Milano.Lì prendono il treno espresso per Roma Termini.Si confondono tra i passeggeri,leggono,fingono di non conoscersi,tengono un comportamento che non desti sospetto.Di mattina sono a destinazione,viaggiano da Milano a Roma per tutta la notte.Il tratto è lungo e potrebbe essere rischioso così si sistemano nei vari scompartimenti ,come detta il codice dei terroristi:mai farsi trovare nello stesso punto,in caso di fermo negare ogni evidenza,le armi del delitto devono essere al sicuro così da risultare puliti ad ogni controllo.Hanno letto il codice di comportamento che ogni organizzazione terroristica stila per i suoi militanti.Loro avranno tra i venti,ventitre anni, e un riconoscimento attraverso identikit sarebbe difficile in quanto l’unica teste, Marisa Biffi , che li ha visti sparare ,è in grado di descrivere il loro abbigliamento(impermeabili bianchi) ma i sei,sette metri che la separano dai killer impediscono di fornire dati certi per delineare il loro volto.Sul treno che porta a Roma certo rivedono come in un film la scena dell’omicidio,ricordano gli attimi culminanti,ripassano a memoria ogni particolare da recitare nel caso venissero arrestati. I giorni di appostamento,le informazioni ricevute dai camerati di Milano,l’attesa fumando decine di sigarette davanti al portone dell’Anderson School,in via Mancinelli.Poi l’incontro con quei due ragazzi di poco più giovani di loro ma così diversi,opposti,non solo per le idee che avevano.La fuga a piedi verso il Leoncavallo,dentro nelle rientranze del garage oppure in via Chavez.Infine l’appuntamento nell’atrio della stazione davanti alla scala mobile."Qualcuno potrebbe averci visti-dice uno di loro- A quest’ora potrebbe spifferare tutto alla polizia o ai carabinieri".Una sicurezza che deriva dalle coperture che il commando sembra avere mentre escogita .Il treno schizza via, macina chilometri lungo la pianura padana,poi dentro le gallerie come quella di San Benedetto Val Di Sambro dove una bomba uccise decine di persone il 4 agosto 1974 sul treno Italicus,la stessa che dieci anni più tardi ,alla vigilia di Natale del 1984, vide la morte sul rapido 904.Dopo la Bologna-Firenze in poche ore si arriva a Roma,le colline della Toscana,il Lago Trasimeno.Arrivati alla stazione di Roma Termini,fuori sul piazzale,il gruppo di fuoco del Casoretto si ricompone ma solo per pochi secondi. C’è il tempo di comprare il giornale."Agguato a Milano.Due giovani ragazzi dell’extra-sinistra sono stati uccisi in via Mancinelli"-titoleranno in molti.Guarderanno quei pezzi su tutti i principali quotidiani.Passati i cancelli entrano nell’atrio,la stazione è presidiata da poliziotti e carabinieri,temono attentati.Si dividono ancora poi fuori formano un piccolo capannello.Si danno appuntamento per la sera,magari in via Siena oppure prima dell’aperitivo al Bar Fungo o al Penny.Poi via di corsa in macchina verso casa,al sicuro,lontani da occhi indiscreti."Si trovavano spesso lì,di sera-mi dice Carmine Scotti,poliziotto,tra i più impegnati nell’inchiesta sull’omicidio del Casoretto".A quell’ora,a Milano,550 chilometri più a Nord Danila Tinelli e Iaia Iannucci sono ancora sveglie,hanno fatto la notte in bianco,su e giù per il corridoio di casa loro,piangendo da sole con un fazzoletto."Per tutta la notte non ho chiuso occhio,mi immaginavo la scena dell’omicidio e nel buio vedevo gli assassini,freddi."-mi dice Danila,quasi con terrore."Sentivo che venivano da lontano,quelle macchine targate Roma,quei rituali non appartenevano solo alla nostra città.Pensavo anche a quanti,all’indomani,si sarebbero svegliati come se niente fosse accaduto ,niente di grave almeno.Dopo aver ucciso a sangue freddo sarebbero tornati alla vita di tutti i giorni."

La storia dei killer del Casoretto parte da lontano.Sono i loro caratteri ribelli,senza bandiera,violenti a mutare il senso del destino di molte vite umane,come quelle stroncate di Fausto e Jaio.Certo non si vestono come i ragazzi di sinistra,non parlano con il gergo di quei tempi:hanno la stessa età ma si trovano su un’altra barricata,pronti a scontrarsi contro quello che definivano "il nemico rosso".Una storia che si confonde con quella della destra milanese. E i fatti che fanno da sfondo si snodano sempre lungo quei 550 chilometri di ferrovia che collega la ex capitale morale d’Italia con Roma. E’ il 1975,anno che segna il mutamento nella loro strategia. A Milano i sanbabilini dettano legge,aggrediscono i passanti,minacciano quanti portano giornali di sinistra,uccidono ragazzi come Alberto Brasili.Il 28 febbraio1975 viene ammazzato a Roma Mikis Mantakas,studente dirigente del Fuan,l’organizzazione degli universitari di destra.Qualche giorno prima di Mantakas cadono altri militanti della destra: i fratelli Mattei periscono nel rogo di Primavalle a causa dell’incendio della casa del segretario della sezione missina.Il greco viene freddato da un solo colpo di pistola in Piazza Risorgimento, adiacente alla sezione del Msi di via Ottaviano.Lì accanto a Mantekas c’è Franco Anselmi.Appena avvertito dell’omicidio chiama a rapporto una quindicina di militanti del Msi,esce dalla sezione,si mette in volto un passamontagna che diventerà,da quel giorno,inseparabile indumento di mille scorribande.Anselmi è un leader di quel gruppo che si va formando a Roma nella destra estrema.E’ irrequieto,ribelle,non sopporta l’ordine precostituito,nemmeno quei dirigenti del suo partito che "stanno mollando la lotta contro i rossi".Viene da quella borghesia romana che non disdegna essere etichettata come fascista.Frequenta un liceo privato,il Federico Tozzi,lontano da quelle che definirà " scuole inquinate dai comunisti".Intorno al Tozzi le scuole sono in mano ai gruppi della Nuova Sinistra,a Lotta Continua,Potere Operaio,Avanguardia Operaia.Spesso "i compagni" lo aspettano fuori da scuola.Un abbigliamento preso in prestito dai più grandi,come quei "sanbabilini" che a Milano imperversavano e dettavano la moda da seguire:le scarpe a punta modello Barrow’s,capelli a spazzola,la cintura di Gucci,il vespino bianco con la bandiera tricolore sulla destra del cupolino. Nell’immaginario di quella generazione di fascisti San Babila era una certezza.Il suo odio si trasforma dunque in avversione contro un sistema:decide cioè di "elevare il livello dello scontro",emulando le Brigate Rosse e Prima Linea.E’ una guerra senza frontiere,per le vie di Roma.Chi porta blue jeans scampanati stinti,capelli lunghi non può passare in certe zone.La città è divisa dai colori nero e rosso.Si sa che al Parioli ci sono i fascisti duri,che a Primavalle,Cinecittà,San Lorenzo i compagni sono più forti.I neri di Monteverde vengono definiti dalla questura romana come "i più pericolosi".In quella sezione del Msi partono gran parte delle azioni:nel gruppo originario c’è Franco Anselmi,i fratelli Giusva e Cristiano Fioravanti,Alessandro Alibrandi,figlio del famoso giudice e una ventina di ragazzetti che scopiazzano le gesta dei capi. Nell’ambiente dei neri romani c’è fermento. C’è chi studia il fenomeno .Giancarlo Capaldo,Loris D’Ambrosio,Pietro Giordano,Michele Guardata e Alberto Macchia(il pool dei magistrati Romani che proseguono e sviluppano le inchieste del giudice Mario Amato ucciso dai Nar il 23 giugno 1980) tracciano il filo della memoria."Verso la metà degli anni Settanta prende piede e trova immediata diffusione una diversa forma di lotta,una certa illegalità di massa che contesta la validità della scelta militare e clandestina e propugna forme collettive e violente di contestazione che assumono carattere di aperta rivolta;viene teorizzato il superamento del centralismo e della delega e sono esaltate la spontaneità e la collettività della ribellione.Parallelamente al declino delle forze politiche istituzionali di destra che vanno rapidamente perdendo peso ed influenza sulla scena politica,subiscono una grave crisi le organizzazioni extraparlamentari neofasciste.Al di là di qualche radicalismo di facciata,la destra extraparlamentare aveva svolto compiti di restaurazione e conservazione,perseguendo a volte una linea nostalgica di ristrutturazione autoritaria dello Stato oppure assicurando stabilità ai rapporti di forza esistenti e ostacolando l’ingresso nell’area di governo di nuove classi sociali attraverso la creazione di situazioni di pericolo o tensione".

I fascisti che si attivano nella svolta del 75 sono anticomunisti viscerali, capaci di mobilitarsi in uno scontro fisico contro le masse di sinistra che negli ambienti giovanili sono egemoni,si richiamano ai valori della società cristiana occidentale e sostengono a spada tratta una politica internazionale di assoluta fedeltà alla Nato.I nuovi eredi del fascismo sono armati di tanto spontaneismo e di pistole. I pestaggi sono all’ordine del giorno.Nel primo anniversario della morte di Mikis Mantekas Franco Anselmi e gli altri del gruppo Monteverde attendono due ragazzi che avranno la loro età fuori dal liceo Tacito.Avevano nella tasca una copia del giornale Lotta Continua,capelli lunghi,jeans scampanati.Si guardano,tirano fuori i coltelli ma non uccidono.Qualcosa accade pochi giorni dopo quando in uno scontro con compagni davanti all’istituto Fermi Valerio Fioravanti e Franco Anselmi impugnano i revolver e fanno fuoco. Uno,due,tre colpi,senza mirare qualcuno in particolare,nel mucchio.Il battesimo di fuoco del gruppo inizia così,con un ragazzo in fin di vita all’ospedale.La stessa scena si ripete a Milano ma ha altri protagonisti.E’ il 27 aprile 1976.In via Guerrini ,sede del Msi,si trovano tutte le sere ragazzi di età compresa tra i 23 e i 27 anni.Quella sera c’è malumore in sezione.La Questura ha appena comunicato il divieto di tenere manifestazioni il giorno dopo,in occasione del primo anniversario della morte di Sergio Ramelli.Si respira un clima che precede la violenza.Poi improvvisamente la sede si svuota."Avevano segnalato dei compagni nei pressi,temevamo aggressioni"-diranno qualche anno più tardi.Poco più in là c’è un gruppetto di ragazzi di sinistra.Uno di via Guerrini tira fuori il coltello.In rapida successione sferra colpi mortali sul corpo di Gaetano Amoroso,Tano per gli amici,di 21 anni. L’arma passa a turno nelle mani dei componenti del commando in una sorta di macabro rituale.Vengono feriti Carlo Palma di 22 anni e Luigi Spera di 20 anni."Puntavano verso di noi-dirà uno degli scampati al Giorno-Quando sono arrivati alla nostra altezza,uno ha cercato di colpirmi con un pugno.Sono riuscito ad evitarlo e a fuggire".Un ragazzo e una ragazza la fanno franca .Amoroso,un militante del Partito Comunista marxista-leninista, tenta una fuga disperata ma nei pressi della sua abitazione,in via Uberti, soccombe.Uno degli aggressori dice al giudice istruttore che"da come vestivano sembravano di sinistra".La polizia arresta nove persone:GianLuca Folli,Marco Meroni,Angelo Croce,Luigi Fraschini,Antonio PietroPaolo,Danilo Terenghi,Walter Cagnani Claudio Forcati e Gilberto Cavallini.Portano giubbotti di pelle con pelo,stivaletti , il passo veloce.

Cavallini ,grazie ai suoi rapporti con i fascisti veneti come Massimiliano Fachini e la vecchia guardia stragista,e’ il più vecchio del gruppo.Due anni prima spara alcuni colpi con il suo revolver 7,65 contro un benzinaio reo di avergli rifiutato il rifornimento.Di famiglia fascista ,entra dapprima nella Giovane Italia,primordiale esperienza del neofascismo di San Babila,poi nel Msi.A scuola va al Feltrinelli,territorio di Avanguardia Operaia:così ha dovuto cambiare aria dopo ripetute minacce.Entra in carcere nell’aprile del 1976 con l’accusa di aver organizzato l’agguato contro Tano Amoroso e riesce ad evadere mentre viene trasferito al carcere di Brindisi."Ero in viaggio con due carabinieri.Chiesi di fermare la vettura per fare pipì.Mi fu concesso,il terreno era in pendio e io approfittai della lenta tenuta della catena da parte del milite per calare giù a valle"(tratto dalla deposizione in aula alla seconda Corte d’Assise d’appello).Da quel giorno d’estate del 1977,Cavallini è ufficialmente latitante ma libero.Nelle strade e nelle piazze romane nasce lo spontaneismo armato di destra.Proprio in quei mesi Cavallini inizia a frequentare quel mondo e si sposta decine,centinaia di volte lungo l’asse ferroviaria che da Milano porta a Roma.Il suo amico inseparabile,Giusva Fioravanti, si trova nel carcere militare di Peschiera ma a Roma ,i suoi amici,non perdono tempo.Il 30 settembre i fascisti aggrediscono un giovane di Lotta Continua :per lui c’è la prognosi riservata.La risposta della Nuova Sinistra è immediata:Alcune migliaia di persone si danno appuntamento nei pressi della sezione dell’Msi della Balduina.Gli scontri si ripetono ininterrottamente fino alle otto di sera quando Cristiano Fioravanti,fratello di Giusva,e Alessandro Alibrandi estraggono una pistola e fanno fuoco a turno sul gruppetto .Walter Rossi muore,il benzinaio Giuseppe Marcelli viene ferito in modo grave.Cristiano e Alessandro si contendono la pistola.Rossi e’ di Lotta Continua,nemico giurato di quelli di Monteverde.E’ appena tornato dal convegno bolognese contro la repressione,nel settembre 1977,che segna la fine di quel movimento.Cronologicamente è il primo morto del gruppetto che fa capo a Giusva Fioravanti,Franco Anselmi,Alessandro Alibrandi e Cristiano Fioravanti.Gli scontri vanno avanti senza tregua,in una sorta di ping pong dove al posto delle palline volano proiettili di fuoco.

Il 1978 ,l’anno dell’omicidio di Fausto e Jaio,comincia male. Roma si divide a macchie di leopardo:vi sono zone rosse e zone nere,impraticabili per gli avversari;e zone di colore sfumato dove i rapporti di forza sono più equilibrati e i gruppi si fronteggiano in continua tensione.Sul tardo pomeriggio del 7 gennaio escono due ragazzi da una sezione missina in via Acca Larentia,nel quartiere del Tuscolano.Escono veloci perché li attende un volantinaggio dall’altra parte della città.Poco più in là sopraggiunge una Renault 4 rossa,scarica quattro giovani che bloccano il passo ai due missini,estraggono una mitraglietta Skorpion e fanno fuoco.Franco Bigonzetti cade sul colpo mentre Francesco Ciavatta viene portato al San Giovanni dove spira dopo pochi minuti.La Renault 4 rossa carica il gruppo del commando e si dilegua nel buio.La Skorpion uccide anni dopo: le Br liquidano Roberto Ruffilli,l’ex sindaco di Firenze Lando Conti e l’economista Ezio Tarantelli con la stessa arma.Bigonzetti e Ciavatta hanno rispettivamente diciannove e diciotto anni.La giornata non finisce qui.La notizia del duplice omicidio fa il giro della città e in pochi minuti al Tuscolano arrivano migliaia di fascisti pronti a vendicare Ciavatta e Bigonzetti.Davanti al sangue di Bigonzetti c’è un fiume in piena,la tensione è forte e basta la presenza di un giornalista del telegiornale per scatenare il tumulto.In pochi minuti via Acca Larentia viene travolta da ragazzi armati di bastoni e pistole che inseguono poliziotti,mentre i carabinieri lanciano lontano i loro lacrimogeni.Infuria la battaglia e ad un ufficiale dell’Arma,Edoardo Sivori parte un colpo che toglie la vita a Stefano Recchioni,pure lui di diciannove anni.Valerio,Alessandro,Franco,Cristiano vedono scorrere la loro vita,come in un film.Si scatenano contro chi ha ucciso ma anche contro il loro partito,l’Msi.Dietro alle gesta dei capi indiscussi si muove un vero esercito di ragazzotti di buona famiglia ma anche provenienti da quartieri proletari.In quell’ambiente matura l’omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci e nei rapporti tra i fascisti romani e quelli milanesi in evidente stato di difficoltà.Gran parte di loro confluirà nel Fuan di via Siena,nella primavera del 1979.Nel libro "La destra eversiva" Franco Ferraresi spiega bene nomi,cognomi,interpreti."La sede del Fuan di via Siena diviene il principale punto di riferimento,anche logistico,di alcuni personaggi più violenti dell’eversione nera di Roma.Si tratta,fra gli altri,dei fratelli Fioravanti,Alessandro Alibrandi,Francesca Mambro,Massimo Carminati,Stefano Tiraboschi,Dario Pedretti,Stefano e Claudia Serpieri,Elio Di Scala,Carlo e Massimo Pucci,Alessandro Pucci,Walter Sordi,Mario Corsi,Marco Di Vittorio.Quelli di via Siena,nelle parole degli inquirenti,hanno un passato da picchiatori negli scontri di piazza e taluno come rapinatore.Si tratta come si può intuire di uomini orientati allo scontro fisico,poco inclini all’elaborazione di una teoria rivoluzionaria:rifiutando ogni disciplina di partito o di gruppo,e ogni ipotesi di tempi lunghi e graduali per la rivoluzione,essi intendono uscire dalla ghettizzazione della Destra storica e andando oltre l’attivismo inteso come pestaggio squadrista,impostando vere e proprie azioni militari".("La destra eversiva",Franco Ferraresi,pagina 82)Sono i primi vagiti dei Nar,Nuclei Armati Rivoluzionari .

Dopo l’uccisione di Bigonzetti e Ciavatta il gruppo intraprende nuove strade,cerca vendette,compie un vorticoso "salto di qualità" di tipo militare. I magistrati D’Ambrosio,Capaldo,Giordano,Guardata e Macchia inquadrano gli eventi sul piano storico."L’ambiente aveva reagito confusamente alla morte dei due missini prima con disordini spontanei di piazza e il ferimento,nella stessa serata del 7 gennaio,di un simpatizzante di sinistra,colpito di striscio alla nuca da un proiettile mentre si trovava alla Balduina in compagnia di amici.Il vero salto di qualità militare avviene la sera del 28 febbraio 1978,con l’uccisione di Roberto Scialabba e il tentato omicidio di Nicola Scialabba,raggiunti da colpi di arma da fuoco esplosi da un’autovettura:in tale occasione l’individuazione degli obiettivi era stata del tutto casuale e indeterminata,salvo che per la loro militanza nell’opposta area politica"("L’eversione di destra a Roma dal 77 all’83:spunti per una ricostruzione del fenomeno",pag.214)E’ una sera di febbraio.Il gruppo si ritrova come sempre al Bar Fungo,nel quartiere dell’Eur.Cristiano e Giusva Fioravanti,Alessandro Alibrandi,Franco Anselmi discutono per ore ."Bisogna vendicare Mikis Mantakas- dirà uno di loro.Quel giorno cade il terzo anniversario della morte del greco. Anselmi ricorderà che "oltre a Mikis dobbiamo vendicare anche Ciavatta e Bigonzetti". C’e’stata una fuga di notizie dal carcere di Regina Coeli."Pare che a sparare ad Acca Larentia siano stati i compagni del Don Bosco-scrive Giovanni Bianconi ( "A mano armata",Baldini e Castoldi Editore).Così salgono sulle macchine,insieme ad altri quattro e vanno al Don Bosco.Sono a caccia di una vittima sacrificale.Scorgono nella penombra tre ragazzi,sono vestiti proprio come il loro nemico,con i capelli lunghi e i jeans scampanati e stinti.Si guardano e in una frazione di secondo capiscono che dovranno agire,da lì a poco.Cristiano Fioravanti racconta anni dopo i retroscena di quell’omicidio.

Lo fa davanti al giudice istruttore di Roma,il 12 marzo 1982."Dalla macchina scendemmo io,Valerio e Anselmi.Io ero armato di una pistola Flobert calibro 6 modificata in modo da sparare colpi calibro 22.Valerio aveva una 38 Franchi Llama 6 pollici e Anselmi una Beretta calibro 7,65".I tre fanno subito fuoco,senza esitare.Cristiano dice di aver colpito una delle persone che erano nel giardinetto.Poi la Flobert improvvisamente si inceppa.Anselmi scarica l’intero caricatore mentre Giusva sale a cavalcioni sul corpo di Scialabba e lo fredda con due colpi alla testa.E’un esecuzione in piena regola. Fuggono,raggiungendo le auto e i complici che li coprono.Una telefonata all’Ansa rivendica l’azione: Gioventù nazional-rivoluzionaria.La polizia interviene nel luogo del delitto,perquisisce Roberto Scialabba e gli trova addosso due spinelli di marjuana. Così inventa il movente."E’ una zona di spacciatori,l’omicidio è certamente maturato nell’ambiente della droga-detterà ai giornalisti un funzionario della Digos".Strane analogie con il delitto del Casoretto.Si ricorderanno le parole del capo Gabinetto della Questura milanese,pochi minuti dopo l’uccisione di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci."E’un omicidio nato da una faida interna a gruppi della sinistra extraparlamentare e al mondo della droga".

Mancano pochi giorni all’omicidio di Fausto e Jaio.Roma, 6 marzo 1978,sono le 16,10.Nell’armeria dei fratelli Danilo e Domenico Centofanti entrano due ragazzi,chiedono di fare acquisti ma mentre il titolare si gira per un attimo estraggono le armi.Costringono i proprietari del negozio ad aprire la cassaforte dove erano custodite le pistole. Danilo e Domenico Centofanti vengono rinchiusi nel bagno.L’azione è fulminea ma qualcosa non funziona e mette scompiglio nei piani dei rapinatori.Un anziano maresciallo dei carabinieri,Rosario Rizzo,amico dei titolari,passa di lì,scorge il terzo uomo che fuori dall’armeria fa il palo.Viene rinchiuso pure lui nel bagno. I rapinatori stanno per allontanarsi,si sentono sicuri.Intanto Danilo Centofanti riesce a liberarsi,prende una pistola e spara alla schiena di un ragazzo che muore all’istante, sull’ingresso dell’armeria.Sono gli ultimi attimi di vita di Franco Anselmi.La Digos,nel rapporto del 7 marzo 1978(foglio 2 e volume 2-12 e volume allegato C)"rinviene il corpo dell’Anselmi riverso bocconi all’ingresso dell’armeria;nella tasca dell’impermeabile la mano destra stringeva ancora,con il dito sul grilletto,una pistola Beretta calibro 7,65 con la matricola punzonata".Gli inquirenti si recano più tardi a casa di Franco Anselmi e sequestrano un piccola agendina con sopra dei nomi annotati in rosso.Sono quelli di Alessandro Alibrandi,Massimo Rodolfo,Enrico Lena,PierLuigi Iachelli,Stefano Tiraboschi,Cristiano Fioravanti,Paolo Cordaro,Alberto Giaquinto(che poi morirà il 10 gennaio 1979 durante una manifestazione del Msi a Centocelle) e Massimo Carminati.Con quest’ultimo Anselmi frequenta l’Università di Perugia,dividono lo stesso mini appartamento,sono amici inseparabili,insieme fanno politica nel gruppo Monteverde ma stringono i legami con la criminalità organizzata e con la nascente attività della Banda della Magliana.La pista del delitto Casoretto parte proprio da minuscoli particolari che messi insieme delimitano quanto potrebbe essere accaduto in quella sera del 18 marzo 1978,intorno alle 20,in via Mancinelli.Il clima negli ambienti della destra romana era surriscaldato.Sul finire del 77 nasce un gruppo numericamente forte,militarmente preparato,composito,legato da fortissime amicizie personali.Uno dei leader indiscussi e proprio Franco Anselmi.Lo confermano Francesca Mambro,Giusva e Cristiano Fioravanti ai giudici .I morti si susseguono a ritmo incalzante anche nelle file della destra eversiva ma è l’uccisione di Bigonzetti e Ciavatta che fa scattare la molla della rappresaglia. Nell’omicidio di Roberto Scialabba si verifica la perfezione tattica arriva alla perfezione professionale e si affina la tecnica contro un bersaglio mobile.In una rapina muore Franco Anselmi.Il gruppo sbanda ,non riesce a trovare un’identità precisa.Franco Anselmi usa sparare con una Beretta 7,65.In via Mancinelli la pistola che uccide Fausto e Jaio sarà proprio una 7,65 e due dei tre killer porteranno impermeabili bianchi.Un tentativo di emulazione,una sorta di marchio.Seguiamo la pista.Pochi giorni dopo il duplice assassinio dei ragazzi del Leoncavallo la rivendicazione più accreditata è quella dell’Esercito Nazionale Rivoluzionario,Brigata Franco Anselmi",una sigla che compare solo in un’altra occasione .I magistrati del processo Nar 1 scrivono che "gli episodi criminosi politicamente caratterizzati erano stati immediatamente rivendicati da gruppi come Nar o Nuclei Anselmi Rivoluzionari,salvo qualche eccezione nella quale è stata utilizzata una denominazione affine,comunque riferibile ad una medesima matrice".Infatti tra gli episodi contestati al processo c’è anche quello di Milano.Nel capitolo G si parla di "attentati di vario genere e livello contro elementi o strutture di diversa linea politica ovvero impianti o servizi di pubblica utilità,azioni volte al tempo stesso a creare un diffuso clima di terrore nel quadro di un più generale programma di destabilizzazione dell’assetto costituzionale e democratico nonché a mantenere salda tra i militanti la coesione sugli obiettivi finali"(Processo Nar 1,pagina 15,capo d’imputazione l’omicidio di Lorenzo Iannucci e Fausto Tinelli commesso il 18 -3-78).Loris D’Ambrosio è stato l’erede dell’opera di Mario Amato ucciso dai Nar perché aveva compreso disegni politici e ispiratori del gruppo.Ora sta al Ministero di Grazia e Giustizia ma per anni ha seguito le inchieste sull’eversione della destra romana.E’ una persona caparbia e paziente.Telefono a lui decine di volte,con l’ansia di chi vuole conoscere.Risponde con la stessa precisione di chi ha letto e studiato per anni le carte processuali."Chi si firma con il nome di Anselmi doveva essergli molto amico,quasi in simbiosi" .


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