Liquida

Le lettere di Aldo Moro 3

by on Mar.11, 2006, under Aldo Moro

61) A Agnese Moro
(non recapitata)
Mia dolcissima Agnese, 
mi viene l’atroce dubbio che le mie lettere siano state tutte o quasi sequestrate. Capisco così certi vuoti
angosciosi e temo che si siano disperse alcune lettere di addio che vi avevo indirizzato. Le rifarò ora male, purtroppo, sperando che questa resti in deposito fin quando non possa esserti sicuramente   consegnata. Volevo dirti Agnesina (e lo faccio tanto male) tutto il mio amore e l’angoscia di doverti lasciare. Ricordo la tua dolce faccina (campagna, fiori e altre cose).
Ti sono stato sempre vicino con tutto il cuore, anche se posso avere sbagliato, posso non averti capito e soddisfatto. Di qui qualche breve strillotto. Ma poi subito dopo il sorriso, l’abbraccio, la richiesta affettuosa. E l’attesa la sera, angosciata, finché non fossi tornata. Il tuo saltellare sulla gamba del cuore.
E starti dietro per la scuola, la tua esperienza e il tuo lavoro (nel quale devi perseverare) distante nella forma, vicinissimo nella sostanza. Ora sei più sola, ma hai carattere forte e serio e camminerai nella vita sulla tua strada. Non dimenticare, come mi promettesti d’estate, e non far dimenticare l’amatissimo Luca. La mia tremenda angoscia si attenua, se penso a te, che ci sei, che sei al mio posto nel letto, che controlli la porta ed il gas chiusi. Lasciami pensare che sarà così fin quando sarà necessario.
Ricordati che a Bellamonte c’è una tua carissima lettera a me da Helsinki. Non ricordo se nell’armadio della matrimoniale o in un mio pulloverino. Mi è cara. Tienila. Ti stringo forte forte in un abbraccio pieno di amore e di augurio. Che Iddio ti benedica, ti dia la tua gioia, ti conforti nell’amore, ti faccia sentire vicino vicino, giorno e notte il tuo amato
papà

62) A Nicola Rana

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63) Testamento in favore della figlia Anna

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6 Il testo non è stato reso noto.

64) A Maria Luisa Familiari

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65) A Sereno Freato
(non recapitata)

Dott. Sereno Freato
Via San Valentino 21

Carissimo Freato,
non so, se scrivo o riscrivo, perché molte cose devono essere state sequestrate e non si è certi di niente.
In questa vicenda allucinante ho pensato spesso a noi ed anche agli errori delle nostre scelte. Desidero  ridirLe, dopo tanti anni di collaborazione, quanto le voglia bene e Le sia grato di tutto. Per noi è oscuro d’ora in avanti. Una sola cosa è chiara: Le affido i miei carissimi con la collaborazione di Rana; Le affido
Luca mio amore. Mi ricordi ai Suoi, mi ricordi agli amici. Non voglio, lasciando dire niente di cattivo, anche se ci sarebbe da dire e da stupire di fronte al poco che è stato fatto per me.
Domani magari si pentiranno.
Con tanta amicizia ed amarezza l’abbraccio con tutto il cuore affidandomi a Lei
Suo
Aldo Moro
Dott. Sereno Freato
Via S. Valentino 21 Roma

66) A Don Antonello Mennini
(non recapitata)

Carissimo Antonello,
temo – e mi angoscia – che siano state, senza darne notizia, sequestrate lettere di affetto tra persone care in una situazione drammatica come questa. Alcune le ho ricostruite. Altre, contenenti alcune indicazioni chissà dove e come si potranno ritrovare. Ho pensato dunque di unire il tutto, di chiamarti, di darti il pacchetto, perché lo tenga per te. Evidentemente sorpassando casa, si rischia (credo) la perquisizione.
Terrai tutto per te e, a tempo debito, ne parlerai a voce con mia moglie, per vedere il da farsi. Dovrebbe esserti di consiglio il mio ex capo gabinetto S.E. Manzari ora al Ministero degli esteri come capo ufficio legislativo, senza il cui consiglio non far niente. Anzi ti prego, a voce (abita in via Livio Andronico, non lontano da me) digli tutta questa vicenda perché la veda anche legalmente e ti aiuti a recuperare quel che fu sottratto. Del nuovo nulla fino ad accordo con mia moglie e lui. Tieni tutto. Poi si potrà vedere.
Bisogna essere certi che all’entrata in casa non si sia intercettati. Non mi pare giusto che s’impedisca in queste circostanze di parlare tra persone che si vogliono bene.
Il fatto che tu te ne occupi mi tranquillizza. Aggiungi la tua preghiera, sempre cara e sempre valida. Il Papa non poteva essere un po’ più penetrante? Speriamo che lo sia stato anche senza dirlo. Benedicimi e aiutati. Ti abbraccio

Aldo Moro

7 Il testo non è stato reso noto
8 Il testo non è stato reso noto

le lettere fuori casa, essendo in zona, si potranno dare allerta però a Rana e Freato salvo non le ritirino
personalm […]

[…] questa frase è monca e di difficile lettura

67) A Eleonora Moro
(non recapitata)

Non mi disperdere le cose da vestire […]. Fa come se fossi lì non disturbarti per la tomba

Mia dolcissima Noretta, (casa)
mi viene ora il dubbio atroce che un’infinità di mie lettere e due piccoli testamenti siano stati sequestrati, incomprensibilmente, dall’autorità. Come spiegare l’appassionata reiterata richiesta di un tuo messaggio stampa, mai pervenuto? E altre, e altre cose. Avevo scritto a tutti i nostri cari in punto di morte, con l’animo aperto in quel momento supremo. Volevo lasciare qualche certezza di amore e qualche motivo di riflessione. Ed ora temo che tutto questo sia disperso, per ricomparire, se comparirà, chissà quando e come. Allora ho deciso di scrivere alla meglio, per dire l’essenziale e di affidare tutto a Don Antonello Mennini, che lo tenga con sé, finché non abbia parlato di persona con te e sono certo di poter dare senza pericolo.
Noretta mia carissima, in questa vicenda allucinante riconosco le mie ingenuità, ma coperte dalla buona fede che si lega alle mie scelte giovanili di passare dall’Azione Cattolica alla D.C. Sono stato poco a Torrita, tenetemi […] con voi a Roma.
Mi è atroce pensare quanto questa vicenda vi toglie e soprattutto all’amatissimo Luca che avrebbe avuto diritto all’assistenza e alla gioia. Quanto mi è angosciante lasciarlo solo. Prego Iddio che gli susciti intorno volti cari, sorrisi teneri, autentico interessamento. Io pregherò per lui fino all’ultimo istante. E l’immagino con te, con Agnese, con tutti i suoi cari, con qualche ricordo del nonno che gli evocherete con qualche fotografia, con qualche richiamo. Mi sarebbe dolce sentirmi non assente.
E a te, gioia amata, grazie di tutto. Nel fondo credo di averti dato tutto l’amore anche se con qualche distrazione d’ufficio.
Quanto meno bisognerebbe dare all’ufficio e più alla famiglia. Sei stata la mia gioia più grande, fonte, talvolta di piccola gelosia, solo non ti vedessi magari rivolta a me. Che Iddio ci aiuti tutti. Freato e Rana dovrebbero aiutarvi. Iddio vi benedica dal profondo e mi stringa a voi in un amore eterno. Mi consola pensare che, prendendo quel che viene, lo storno da voi. Eri troppo…

68) A Eleonora Moro

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69) A Eleonora Moro
(non recapitata)

per Noretta
Dammi la felicità di un messaggio tramite Guerzoni per sabato mattina forse si fa ancora in tempo e
dimmi se hai ricevuto lettere ai figli e nipoti e due piccoli testamenti.

9 La lettera si interrompe a questo punto.
10 Il testo non è stato reso noto.

70) Ai familiari
(recapitata il 24 o il 25 aprile)

A tutti i miei carissimi ed a Noretta, amata sposa e madre. Mi piacerebbe avere un cenno, anche minimo di risposta, per tranquillizzarmi sulla salute di tutti.
Aldo

71) Alla Democrazia Cristiana
(recapitata il 28 aprile)

Lettera al Partito della Democrazia Cristiana
Dopo la mia lettera comparsa in risposta ad alcune ambigue, disorganiche, ma sostanzialmente negative posizioni della D.C. sul mio caso, non è accaduto niente. Non che non ci fosse materia da discutere. Ce n’era tanta. Mancava invece al Partito, al suo segretario, ai suoi esponenti il coraggio civile di aprire un dibattito sul tema proposto che è quello della salvezza della mia vita e delle condizioni per conseguirla in un quadro equilibrato. E’ vero: io sono prigioniero e non sono in uno stato d’animo lieto. Ma non ho subito nessuna coercizione, non sono drogato, scrivo con il mio stile per brutto che sia, ho la mia solita calligrafia. Ma sono, si dice, un altro e non merito di essere preso sul serio. Allora ai miei argomenti neppure si risponde. E se io faccio l’onesta domanda che si riunisca la direzione o altro organo costituzionale del partito, perché sono in gioco la vita di un uomo e la sorte della sua famiglia, si continua invece in degradanti conciliaboli, che significano paura del dibattito, paura della verità, paura di firmare col proprio nome una condanna a morte.
E devo dire che mi ha profondamente rattristato (non avrei creduto possibile) il fatto che alcuni amici da Mons. Zama, all’avv. Veronese, a G.B. Scaglia ed altri, senza né conoscere, né immaginare la mia sofferenza, non disgiunta da lucidità e libertà di spirito, abbiano dubitato dell’autenticità di quello che andavo sostenendo, come se io scrivessi su dettatura delle Brigate Rosse.
Perché questo avallo alla pretesa mia non autenticità? Ma tra le Brigate Rosse e me non c’è la minima comunanza di vedute.
E non fa certo identità di vedute la circostanza che io abbia sostenuto sin dall’inizio (e, come ho dimostrato, molti anni fa) che ritenevo accettabile, come avviene in guerra, uno scambio di prigionieri politici. E tanto più quando, non scambiando, taluno resta in grave sofferenza, ma vivo, l’altro viene ucciso. In concreto lo scambio giova (ed è un punto che umilmente mi permetto sottoporre al S.
Padre) non solo a chi è dall’altra parte, ma anche a chi rischia l’uccisione, alla parte non combattente, in sostanza all’uomo comune come me.
Da che cosa si può dedurre che lo Stato va in rovina, se, una volta tanto, un innocente sopravvive e, a compenso, altra persona va, invece che in prigione, in esilio? Il discorso è tutto qui. Su questa posizione, che condanna a morte tutti i prigionieri delle Brigate Rosse (ed è prevedibile ce ne siano) è arroccato il Governo, è arroccata caparbiamente la D.C., sono arroccati in generale i partiti con qualche riserva del Partito Socialista, riserva che è augurabile sia chiarita d’urgenza e positivamente, dato che non c’è tempo da perdere. In una situazione di questo genere, i socialisti potrebbero avere una funzione decisiva. Ma quando? Guai, Caro Craxi, se una tua iniziativa fallisse.
Vorrei ora tornare un momento indietro con questo ragionamento che fila come filavano i miei ragionamenti di un tempo.
Bisogna pur ridire a questi ostinati immobilisti della D.C. che in moltissimi casi scambi sono stati fatti in passato, ovunque, per salvaguardare ostaggi, per salvare vittime innocenti. Ma è tempo di aggiungere che, senza che almeno la D.C. lo ignorasse, anche la libertà (con l’espatrio) in un numero discreto di casi è stata concessa a palestinesi, per parare la grave minaccia di ritorsioni e rappresaglie capaci di arrecare danno rilevante alla comunità. E, si noti, si trattava di minacce serie, temibili, ma non aventi il grado d’immanenza di quelle che oggi ci occupano. Ma allora il principio era stato accettato. La necessità di fare uno strappo alla regola della legalità formale (in cambio c’era l’esilio) era stata riconosciuta. Ci sono testimonianze ineccepibili, che permetterebbero di dire una parola chiarificatrice. E sia ben chiaro che, provvedendo in tal modo, come la necessità comportava, non si intendeva certo mancare di riguardo ai paesi amici interessati, i quali infatti continuarono sempre nei loro amichevoli e fiduciosi rapporti . Tutte queste cose dove e da chi sono state dette in seno alla D.C.? E’ nella D.C. dove non si affrontano con coraggio i problemi. E, nel caso che mi riguarda, è la mia condanna a morte, sostanzialmente avvallata dalla D.C., la quale arroccata sui suoi discutibili principi, nulla fa per evitare che un uomo, chiunque egli sia, ma poi un suo esponente di prestigio, un militante fedele, sia condotto a morte. Un uomo che aveva chiuso la sua carriera con la sincera rinuncia a presiedere il governo, ed è stato letteralmente strappato da Zaccagnini (e dai suoi amici tanto abilmente calcolatori) dal suo posto di pura riflessione e di studio, per assumere l’equivoca veste di Presidente del Partito, per il quale non esisteva un adeguato ufficio nel contesto di Piazza del Gesù. Sono più volte che chiedo a Zaccagnini di collocarsi lui idealmente al posto ch’egli mi ha obbligato ad occupare. Ma egli si limita a dare assicurazioni al Presidente del Consiglio che tutto sarà fatto come egli desidera.
E che dire dell’On. Piccoli, il quale ha dichiarato, secondo quanto leggo da qualche parte, che se io mi trovassi al suo posto (per così dire libero, comodo, a Piazza ad esempio, del Gesù), direi le cose che egli dice e non quelle che dico stando qui.
Se la situazione non fosse (e mi limito nel dire) così difficile, così drammatica quale essa è, vorrei ben vedere che cosa direbbe al mio posto l’On. Piccoli. Per parte sua ho detto e documentato che le cose che dico oggi le ho dette in passato in condizioni del tutto oggettive. E’ possibile che non vi sia una riunione statutaria e formale, quale che ne sia l’esito? Possibile che non vi siano dei coraggiosi che la chiedono, come io la chiedo con piena lucidità di mente? Centinaia di parlamentari volevano votare contro il Governo. Ed ora nessuno si pone un problema di coscienza? E ciò con la comoda scusa che io sono un prigioniero. Si deprecano i lager, ma come si tratta, civilmente, un prigioniero, che ha solo un vincolo esterno, ma l’intelletto lucido? Chiedo a Craxi, se questo è giusto. Chiedo al mio partito, ai tanti fedelissimi delle ore liete, se questo è ammissibile. Se altre riunioni formali non le si vuol fare, ebbene io ho il potere di convocare per data conveniente e urgente il Consiglio Nazionale avendo per oggetto il tema circa i modi per rimuovere gli impedimenti del suo Presidente. Così stabilendo, delego a presiederlo l’On. Riccardo Misasi.
E’ noto che i gravissimi problemi della mia famiglia sono la ragione fondamentale della mia lotta contro la morte. In tanti anni e in tante vicende i desideri sono caduti e lo spirito si è purificato. E, pur con le mie tante colpe, credo di aver vissuto con generosità nascoste e delicate intenzioni. Muoio, se così deciderà il mio partito, nella pienezza della mia fede cristiana e nell’amore immenso per una famiglia esemplare che io adoro e spero di vigilare dall’alto dei cieli. Proprio ieri ho letto la tenera lettera di amore di mia moglie, dei miei figli, dell’amatissimo nipotino, dell’altro che non vedrò. La pietà di chi mi recava la lettera ha escluso i contorni che dicevano la mia condanna, se non avverrà il miracolo del ritorno della D.C. a se stessa e la sua assunzione di responsabilità. Ma questo bagno di sangue non andrà bene né per Zaccagnini, né per Andreotti, né per la D.C., né per il paese. Ciascuno porterà la sua responsabilità.
Io non desidero intorno a me, lo ripeto, gli uomini del potere. Voglio vicino a me coloro che mi hanno amato davvero e continueranno ad amarmi e pregare per me. Se tutto questo è deciso, sia fatta la volontà di Dio. Ma nessun responsabile si nasconda dietro l’adempimento di un presunto dovere. Le cose saranno chiare, saranno chiare presto.
Aldo Moro

72) Alla Democrazia Cristiana [seconda versione]
(non recapitata)

Alla Democrazia cristiana [seconda versione]

edizione più stringata e prudente tenuto conto dei palestinesi e dell’iniziativa Craxi.
E’ in alternativa all’altra, valutare attentamente le circostanze.

Dopo la mia lettera comparsa in risposta ad alcune ambigue, disorganiche, ma sostanzialmente negative posizioni della D.C. sul mio caso, non è accaduto niente. Non che non ci fosse materia da discutere. Ce n’era tanta. Mancava invece al Partito nel suo insieme il coraggio di aprire un dibattito sul tema proposto che è tema della salvezza della mia vita e delle condizioni per conseguirla in un quadro equilibrato.
E’ vero, io sono prigioniero e non ho l’animo lieto. Ma non ho subito nessuna coercizione, non sono drogato, scrivo con il mio stile per brutto che sia, ho la mia solita calligrafia. Ma sono, si dice, un altro e non merito di essere preso sul serio.
Allora ai miei argomenti neppure si risponde. E se io faccio l’onesta domanda che si riunisca la direzione o altro organo costituzionale del partito, perché sono in gioco la vita di un uomo e la sorte della sua famiglia, si continua invece in conciliaboli.
Qualcuno sembra dubitare dell’autenticità di quello che vado sostenendo. Come se io scrivessi sotto dettatura delle Brigate Rosse. Ma tra le Brigate Rosse e me non c’è la minima comunanza di vedute. E non fa certo identità di vedute il fatto che io abbia sostenuto sin dall’inizio (e come ho dimostrato, molti anni fa) che ritenevo accettabile, come avviene in guerra, uno scambio di prigionieri politici. E tanto più quando, non scambiando, taluno resta in grave sofferenza, ma vivo, l’altro viene ucciso. In concreto lo scambio giova non solo al detenuto, ma anche a chi rischia l’uccisione, alla parte non combattente. Da che cosa si può dedurre che lo Stato va in rovina, se una volta tanto un innocente sopravvive e, a compenso, altra persona va, invece che in prigione, in esilio? Il discorso è tutto qui. Su questa posizione, che condanna a morte i prigionieri delle Brigate Rosse (e potrebbero esservene) -è arroccato il Governo, è arroccata caparbiamente la D.C., sono arroccati in generale i partiti con qualche rilevante riserva del Partito Socialista che non è lecito lasciar cadere.
Vorrei ora tornare un momento indietro con questo ragionamento che fila come filavano i miei ragionamenti di un tempo.
Bisogna pur ridire a questi ostinati immobilisti della D.C. che in moltissimi casi scambi sono stati fatti in passato, dovunque, per salvaguardare ostaggi e salvare vittime innocenti. Ma è tempo di aggiungere che anche in Italia la libertà è stata concessa con procedure appropriate a Palestinesi, per parare gravi minacce di rappresaglia capaci di rilevanti danni alla comunità. E si noti si trattava di minacce serie e temibili, ma non aventi sempre il grado d’immanenza di quelle che oggi ci occupano. Ma allora il principio era stato accettato. Vi sono testimoni ineccepibili ai quali far riferimento. E sia ben chiaro che, provvedendo come la necessità comportava, non si intendeva certo mancare di riguardo a paesi profondamente amici, i quali infatti continuarono sempre nei loro amichevoli e fiduciosi rapporti.
Questi rilievi in quali dibattiti sono stati fatti e, dico, con particolare riguardo alla D.C., chiamata ad affrontare con coraggio i problemi? E nel caso che ci riguarda è la mia condanna a morte che sarebbe sostanzialmente avvallata dalla D.C., la quale, arroccata su discutibili principi, nulla fin qui fa, per evitare che un uomo, chiunque egli sia, ma poi un suo esponente di prestigio, un militante fedele sia condotto a morte. Un uomo che aveva chiuso la sua carriera con la serenarinuncia a presiedere il Governo ed è stato letteralmente strappato da Zaccagnini dal suo posto di pura riflessione e di studio, per assumere l’equivoca veste di Presidente del partito. Sono più volte che chiedo a Zaccagnini di collocarsi lui idealmente al posto che egli mi ha obbligato a occupare. Ma egli sembra piuttosto intento a rassicurare il Presidente del Consiglio che sarà fatto come egli desidera.
Possibile che non vi sia una riunione statutaria e formale? Centinaia di parlamentari minacciavano tempo fa di votare contro il governo. Più modestamente non si pone ora per taluno un problema di coscienza? Ma come si tratta civilmente in Italia un prigioniero che ha un vincolo esterno, ma l’intelletto lucido? Lo chiedo a Craxi. Lo chiedo al mio partito, ai tanti amici fedeli delle ore liete. Se altro non si ritiene di fare, ricordo che io potrei convocare il Consiglio Nazionale sul tema del mio impedimento e del modo di rimuoverlo. Il Capo dello Stato ha il modo di far funzionare tutti gli organi previsti dalla Costituzione.
Se poi nulla di costruttivo avverrà, sarò costretto ad affermare la responsabilità della D.C. ufficiale e di quanti non si fossero da essa tempestivamente dissociati, è noto poi che i gravissimi problemi della mia famiglia sono la ragione fondamentale della mia lotta contro la morte. 

73) Alla Democrazia Cristiana [terza versione]
(non recapitata)

Lettera al partito.
Dopo la mia lettera comparsa in risposta ad alcune ambigue, disorganiche, ma sostanzialmente negative posizioni della DC sul mio caso, non è accaduto niente. Non che non ci fosse materia da discutere. Ce n’era tanta. Mancava invece al Partito, al suo segretario, ai suoi esponenti il coraggio civile di aprire un dibattito sul tema proposto, che è quello della salvezza della mia vita e delle condizioni per conseguirla in un quadro equilibrato. E’ vero: io sono prigioniero e non sono in uno stato d’animo  lieto. Ma non ho subito nessuna coercizione, non sono drogato, scrivo con il mio stile per brutto che sia, ho la mia solita calligrafia. Ma sono, si dice, matto e non merito di essere preso sul serio. Allora ai miei argomenti neppure si risponde. E se io faccio l’onesta domanda che si riunisca la direzione o altro
organo costituzionale del partito, perché sono in gioco la vita di un uomo e la sorte della sua famiglia, si continua invece in degradanti conciliaboli, che significano paura del dibattito, paura della verità, paura di firmare col proprio nome una condanna a morte.
E devo dire che mi ha profondamente rattristato (non avrei creduto possibile) il fatto che alcuni amici, da Mons. Zama, all’avv. Veronese, a GB Scaglia ed altri, senza né conoscere né immaginare la mia sofferenza, non disgiunta da lucidità e libertà di spirito, abbiano dubitato dell’autenticità di quello che andavo sostenendo, come se io scrivessi su dettatura delle Brigate Rosse. Perché questo avvallo alla pretesa mia non autenticità? Ma tra le Brigate Rosse e me non c’è la minima comunanza di vedute. E non fa certo identità di vedute la circostanza che io abbia sostenuto sin dall’inizio (e come ho dimostrato molti anni fa) che ritenevo accettabile, come avviene in guerra, uno scambio di prigionieri politici. E tanto più quando, non scambiando, taluno resta in grave sofferenza, ma vivo, l’altro viene
ucciso. In concreto lo scambio giova (ed è un punto che umilmente mi permetto sottoporre al S. Padre) non solo a chi è dall’altra parte, ma anche a chi rischia l’uccisione, alla parte non combattente, in sostanza all’uomo comune come me. Da che cosa si può dedurre che lo Stato va in rovina, se, una volta tanto, un innocente sopravvive e, a compenso, altra persona va, invece che in prigione, in esilio? Il
discorso è tutto qui. Su questa posizione, che condanna a morte tutti i prigionieri delle B.R. (ed è prevedibile ce ne siano) è arroccato il Governo, è arroccata caparbiamente la DC, sono arroccati in generale i partiti con qualche riserva del PSI, riserva che è augurabile sia chiarita d’urgenza e positivamente, dato che non c’è tempo da perdere. In una situazione di questo genere, i socialisti potrebbero avere funzione decisiva. Ma quando? Guai, Caro Craxi, se una tua iniziativa fallisse.
Vorrei ora tornare un momento indietro con questo ragionamento che fila come filavano i miei ragionamenti di un tempo.
Bisogna pur ridire a questi ostinati immobilisti della DC che in moltissimi casi scambi sono stati fatti in passato, ovunque, per salvaguardare ostaggi, per salvare vittime innocenti. Ma è tempo di aggiungere che, senza che almeno la DC lo ignorasse, anche la libertà (con l’espatrio) in un numero discreto di casi è stata concessa a Palestinesi, per parare la grave minaccia di ritorsioni e rappresaglie capaci di arrecare danno rilevante alla comunità.
E, si noti, si trattava di minacce serie, temibili, ma non aventi il grado di immanenza di quelle che oggi ci occupano. Ma allora il principio era stato accettato. La necessità di fare uno strappo alla regola della legalità formale (in cambio c’era l’esilio) era stata riconosciuta. Ci sono testimoni ineccepibili: i quali potrebbero avvertire il dovere di dire una parola chiarificatrice. E sia ben chiaro che, provvedendo in tal modo, come la necessità comportava, non si intendeva certo mancare di riguardo ai paesi amici interessati, i quali infatti continuarono sempre nei loro amichevoli e fiduciosi rapporti. Tutte queste cose dove e da chi sono state dette in seno alla DC? E nello stesso Parlamento in un dibattito approfondito? Io ho scritto ai presidenti delle assemblee, ma non ho rilevato, forse per la mia condizione, alcuna risposta. A me però interessa la DC dove non si affrontano con coraggio i Problemi.
E, sul caso che mi riguarda, è la mia condanna a morte, sostanzialmente avvallata dalla DC, la quale arroccata sui suoi discutibili principi, nulla fa per evitare che un uomo, chiunque egli sia, ma poi un suo esponente di prestigio, un militante fedele sia condotto a morte. Un uomo che aveva chiuso la sua carriera con la sincera rinuncia a presiedere il governo, ed è stato letteralmente strappato da Zaccagnini (e dai suoi amici tanto abilmente calcolatori) dal suo posto di pura riflessione e di studio, per assumere l’equivoca veste di presidente del partito per il quale non esisteva un adeguato ufficio nel contesto di Piazza del Gesù. Son più volte che chiedo a Zaccagnini di collocarsi lui idealmente al posto che egli mi ha obbligato ad occupare. Ma egli si limita a dare assicurazioni al presidente del consiglio che tutto sarà fatto come egli desidera. Possibile che non vi sia una riunione statutaria e formale, quale che ne sia l’esito? Possibile che non vi siano dei coraggiosi che la chiedono, come io la chiedo in piena lucidità di mente? Centinaia di parlamentari volevano votare contro il governo. Ed ora nessuno si pone il problema di coscienza? E ciò con la comoda scusa che io sono un prigioniero. Si deprecano i lager, ma come si tratta, civilmente, in Italia un prigioniero, che ha solo un vincolo esterno, ma l’intelletto lucido?
Chiedo a Craxi, se questo è giusto. Chiedo al mio partito, ai tanti fedelissimi delle ore liete, se questo è ammissibile. Le altre riunioni formali non le si vuol fare. E io ho il potere di convocare per data conveniente e urgente il consiglio nazionale avendo per oggetto il tema circa i modi per rimuovere gli impedimenti del suo presidente. Dovrebbe presiederlo per mia delega l’On. Riccardo Misasi. Chiedo al capo dello Stato che tali organi, previsti dalla costituzione, siano fatti funzionare. Non può esservi arbitrio in queste cose. Sono attento a sentire i nomi e ad accogliere gli atteggiamenti. Se poi nulla avverrà, dovrò affermare in pieno la responsabilità della DC ufficiale e di quanti non si fossero da essa tempestivamente dissociati. E’ noto che i gravissimi problemi della mia famiglia sono la ragione fondamentale della mia lotta contro la morte.

(Le righe che seguono sono da rivedere a secondo dell’utilità che possono avere per sua espressa
opinione).

E notò… k… contro la morte.
In tanti anni e in tante vicende i desideri sono caduti e lo spirito si è purificati. E, pur vero con le mie tante colpe, credo di aver vissuto con generosità nascoste e delicate intenzioni. Muoio, se così deciderà il mio partito, nella pienezza della mia fede cristiana e nell’amore immenso per una famiglia esemplare che io adoro e spero di vigilare dall’alto dei cieli. Proprio ieri ho letto la tenera lettera di amore di mia moglie, dei miei figli, dell’amatissimo nipotino, dell’altro che non vedrò. La pietà di chi mi recava la lettera ha escluso i contorni che dicevano la mia condanna, se non avverrà il miracolo del ritorno della DC a se stessa e la sua assunzione di responsabilità. Ma questo bagno di sangue non andrà bene né per Zaccagnini, né per Andreotti, né per la DC, né per il paese. Ciascuno porterà la sua responsabilità. Io non desidero intorno a me, lo ripeto, gli uomini del potere. Voglio vicino a me coloro che mi hanno amato davvero e continueranno ad amarmi e pregare per me. Se tutto questo è deciso, sia fatta la volontà di Dio. Ma nessun responsabile si nasconda dietro l’adempimento di un presunto dovere. Le cose saranno chiare, saranno chiare presto. Segue firma…

74) A Riccardo Misasi
(non recapitata)

Caro Riccardo,
avendoti prescelto, solo per l’antica amicizia e stima quale mio portavoce, si tratti poi del Consiglio nazionale, o della Direzione del Partito, invio a te alcune considerazioni utili per il dibattito, le quali però, a differenza delle altre, hanno carattere confidenziale e non sono destinate alla pubblicazione. Ciò vuol dire che tu richiamerai discretamente su di esse, a mio nome, l’attenzione degli ascoltatori, ovviamente insieme alle altre argomentazioni sulle quali, per essere state esse già pubblicate si potrà essere più netti e chiari. Mi pare però ci sia qualche cosa che, nel foro interno, non è possibile ignorare.
Oltre ad essere parte in causa, quale Presidente pro-tempore del Consiglio Nazionale, adempio con questi miei scritti la mia funzione di stimolo alla riflessione non senza rilevare con disappunto che del mio primo scritto si è profilata una specie di blocco o censura, che reputo inammissibili.
Scorrendo rapidamente qualche giornale in questi giorni, fra alcune cose false, assurde e francamente ignobili, ho rilevato che andava riaffiorando la tesi (la più comoda) della mia non autenticità e non credibilità. Moro insomma non è Moro, tesi nella quale si sono lasciati irretire, come ho documentato, amici carissimi, ignari di prestarsi ad una vera speculazione. Per qualcuno la ragione di dubbio è nella calligrafia, incerta, tremolante, con un’oscillante tenuta delle righe. Il rilievo è ridicolo, se non provocatorio. Pensa qualcuno che io mi trovi in un comodo e attrezzato ufficio ministeriale o di partito? Io sono, sia ben chiaro un prigioniero politico ed accetto senza la minima riserva, senza né pensiero, né un gesto di impazienza la mia condizione. Pretendere però in queste circostanze grafie cristalline e ordinate e magari lo sforzo di una copiatura, significa essere fuori della realtà delle cose.
Quello che io chiedo al partito è uno sforzo di riflessione in spirito di verità. Perché la verità, cari amici, è più grande di qualsiasi tornaconto. Datemi da una parte milioni di voti e toglietemi dall’altra parte un atomo di verità, ed io sarò comunque perdente. Lo so che le elezioni pesano in relazione alla limpidità ed obiettività dei giudizi che il politico è chiamato a formulare. Ma la verità è la verità. E’ per questo che ho ascoltato (dirò poco) con sommo rammarico la reazione dell’On. Zucconi alla nota proposta dell’On. Craxi. Si tratterebbe, cito a memoria, di una vana caccia di voti delle sinistre democristiane. Del resto il dialogo di altri esponenti politici con l’On. Craxi non è di maggior delicatezza.
Ecco cosa resta, in Parlamento, di un’iniziativa e politica insieme: la raccolta di qualche centinaia di voti.
Vogliamo, colleghi democristiani, alzarci un po’ al di sopra di queste cose?
Vogliamo occuparci un po’ meno di voti e più di umanità e di politica?
In un tema come questo gli argomenti sono quelli che sono, non si possono moltiplicare. Ma quel che
importa è che su di essi cada una seria riflessione. C’è un punto di partenza politico, sul quale mi soffermerò un momento con delicatezza.
Perché non mi interessano le persone, ma la concatenazione degli avvenimenti. Io non so che cosa sia avvenuto, come non so tante altre cose, nei minuti tra il mio rapimento e la presentazione del Governo alle Camere con l’enunciazione della c.d. linea rigida di difesa della Costituzione (ma in che senso, poi?).
Vi fu un fatto di rilevante gravità. La circostanza che il Governo fosse appena formato, non senza qualche riserva, autorizza a passare sopra al discorso dei fatti accaduti e delle conseguenti responsabilità? Il servizio di scorta era di gran lunga al di sotto delle sue esigenze operative. Il rapito, del resto trattato con rispetto, si trovava ad essere il Presidente del Consiglio Naz. del Partito, carica, a mio avviso, onorifica e ambigua, ma che, come i fatti dimostrano, aveva ingenerato in altri l’impressione che si trattasse del personaggio chiave della politica italiana e, per giunta, presunto candidato alla Presidenza della Repubblica (candidatura mai accettata).
Possibile che per questo personaggio il metodo tradizionale di scorta palesemente insufficiente, non sia stato almeno ritoccato data la particolarità delle circostanze? Possibile che questa strategia dipendesse da un modesto funzionario? Possibile che tutti i personaggi che si consultarono sul fatto del giorno, non abbiano almeno tenuto conto del fatto che la persona sequestrata fosse persona di un certo rilievo nella vita del Partito e dello Stato?
In proposito vi fu, nel mio primo messaggio, qualche cauto accenno, il quale per altro non fu né valutato né raccolto dai saggi che si avvicendarono ad esprimere il loro consenso alla tesi intransigente.
Insomma: poco fu fatto prima, nulla fu fatto dopo.
E questa è la base, francamente incredibile, del rigore manifestatosi successivamente. Leggevo ieri una cosa ben chiara e netta dell’on. Riccardo Lombardi. In sostanza così all’incirca ragiona l’anziano e saggio parlamentare socialista, se i prigionieri in questa vicenda fossero numerosi, e si ponesse per essi un problema di scambio, non v’è dubbio che lo Stato tutelerebbe meglio i propri interessi (a parte i problemi umanitari) accedendo allo scambio e non li tutelerebbe negandolo. Che cosa cambia in linea di principio se il prigioniero è uno? Il che vuol dire che la persecuzione ad ogni costo, in quella forma, dell’atto illecito, non risponderebbe ad una ragione sostanziale. Nella sostanza, nel merito delle cose cioè sono le circostanze che debbono indurre a valutare che cosa sia conveniente fare nel rispetto della vita, nel rapporto tra detenzione ed uccisione, nella tutela dei giusti interessi dello Stato, nel riconoscimento delle ragioni umanitarie. Ecco perché queste cose sono e non possono essere disciplinate nel segno dello Stato di necessità, salvo le ipotesi più semplici alle quali fa riferimento saggiamente l’On. Craxi. La casistica, sulla quale più volte mi sono soffermato è al riguardo altamente indicativa, dagli innumerevoli casi di salvezza di ostaggi fino ai casi dei palestinesi di cui si è parlato. Del resto, senza soffermarsi troppo su casi assai delicati e bisognosi di approfondimento, non si può negare che taluni fenomeni, a differenza di altri, hanno carattere di guerriglia con una propria fisionomia politica e giuridica, ponendo problemi che proprio le attuali circostanze mettono in evidenza ed alla cui soluzione (e ci si muove in questa direzione) non può essere estraneo il Comitato per la Croce Rossa internazionale ed il cosiddetto diritto umanitario che è in elaborazione. E quanto alla natura dei fatti basterà ricordare le vicende dell’Alto Adige.
E nella casistica cui accennavo si aggiunga il caso Lorenz nella stessa Germania.
I fatti sono dunque tanto chiari che il categorico rifiuto di prenderli in considerazione in questo momento non può apparire che un partito preso, un allineamento su posizioni esterne, una deformazione del volto umano dell’Italia. Questa rigidezza non corrisponde alla linea politica della D.C., giunta all’assurdo rifiuto della proposta Craxi.
A questa deformazione la direzione D.C. deve dire basta prima che il danno diventi ancor più grave e
irreparabile.11 

75) Frammento12
(fogli non recapitati)

(…) comprensibile ragione, con le cose serie.

Quello che io chiedo al Partito è uno sforzo serio di riflessione, in spirito di verità. Perché la verità, cari amici, è più grande di qualsiasi tornaconto elettorale. Datemi da una parte milioni di voti e toglietemi dall’altra parte un atomo di verità ed io sarò comunque perdente. Lo so che le elezioni ci sono purtroppo, e pesano (dico, per questo, purtroppo) in relazione alla limpidità ed obiettività dei giudizi che il politico, in circostanze come queste, è chiamato a formulare. E’ per questo che ho ascoltato (mi dispiace di non avere altra parola da usare) con disgusto la reazione dell’On. Zucconi alla nota proposta dell’On. Craxi. Si tratta, cito, a memoria, di una vana caccia di voti della sinistra democristiana. Ecco, dunque, che cosa resta nel Parlamento italiano di un’iniziativa umanitaria e politica insieme: la caccia a qualche decina o centinaia di voti. Del resto il dialogo tra l’On. Craxi e altri esponenti politici è ugualmente delicato. Vogliamo colleghi democristiani, alzarci un po’ al di sopra di queste cose?
Vogliamo occuparci un po’ meno di voti e più invece di umanità e di politica? Se il Consiglio non sapesse farlo, esso sarebbe fallito. Che miserabile immagine di una nuova D.C. (di cui è alfiere Zucconi) ne verrebbe fuori!
In un tema come questo non è che gli argomenti possano essere moltiplicati a dismisura. Essi ci sono, sono stati enunciati, possono essere sviluppati ed integrati, ma quel che è essenziale è che su essi cada la più seria riflessione, senza affidarsi al caso.
Ed il discorso deve cominciare in sede politica, benché la cosa sia spiacevole, dalla responsabilità per quel che è avvenuto, non dal da farsi (più o meno bene) visto che talune cose gravi e preoccupanti sono avvenute. Sia ben chiaro che io non intendo infierire contro la persona…13 

76) A Elio Rosati
(non recapitata)

Mio carissimo Elio,

11 La lettera si interrompe così ed è priva di firma e di seguito.
12 Fogli non rinvenuti tra quelli della lettera a Misasi. Probabilmente si tratta di un frammento di lettera.
13 La lettera è tronca.

non solo per l’antica e cara amicizia che ti porto, ma per istintiva intuizione ho pensato a te, mano a mano che andavo considerando, giorno per giorno, la situazione ed, in essa, da un lato la mia, dall’altro quella della D.C.. Del poco che so, so almeno questo, che fedele al tuo costume, non hai avuto incertezze e paure hai rifiutato il conformismo ed il quieto vivere, ti sei impegnato con una posizione autonoma, quando altri si andavano imbrancando acriticamente sotto il pretesto dell’interesse di partito e di una unità malintesa, della D.C. Oggi quello che si nota è la mancanza di coraggio e questo fa sì che il nostro appaia un partito acritico, tutto arroccato su una medesima posizione. E tu sai che questo non è invece mai avvenuto e che la dialettica è stata aperta tra noi. Ebbene, oggi tu rimani pressoché solo ad adempiere questo compito essenziale, tu rimani solo a rompere il ghiaccio. Ma sai pure, che sotto la scorza dell’indifferenza e del conformismo, una parte notevole della base democristiana ripugna profondamente alla mia attuale condizione ed al grosso rischio che essa comporta. Nessuno parla, ma molti temono. Ed io credo che se uno alzasse la sua voce, una voce limpida, come la tua, proprio in questi giorni che coincidono con una grossa riunione della Direzione DC, le voci di consenso, sensibili, anche se forse non maggioritarie, non mancherebbero. Io non vedo altri che te che possa dire questa parola e guidare, al massimo possibile insieme con Misasi, un movimento di opinione pubblica che bilanci le ferree esigenze di regime che si esprimono sulla stampa. Bisogna parlare subito, alto, forte, con chiarezza, utilizzando la stampa anchesettimanale e, ovviamente, tenendo d’occhio l’andamento della Direzione sulla quale non mi faccio però soverchie illusioni. Poiché si tratta di problemi di coscienza (e nessuna è più limpida della tua), desidero dirti, per così dire, solennemente che la proposta di scambio od altra simile, specie se attuata immediatamente, sarebbe stata la meno onerosa per la D.C.
Aggiungo che tutte le altre saranno forzatamente più onerose e sarebbero perciò da evitare, se prevalesse, come dovrebbe prevalere, il buon senso. Tutto quello che farai nei prossimi giorni, con la forza della disperazione, (e cerca di farlo capire agli altri) è il meglio per la D.C., è un salto di salvezza su di un abisso.
Non ti dico altro, perché so che tu capisci per immediata intuizione. Mi auguro tanto che tu riesca, associando tutte le altre forze disponibili. Perché tanti amici sono diventati così timidi: se fossero insieme quelli sui quali abbiamo sempre contato, la partita sarebbe vinta. Il silenzio è un delitto. Che c’è di male chiedere la salvezza di un amico quando, oltretutto, altrimenti, si corre un rischio mortale? Datti da fare dunque come avrai già fatto. Non si parli di elezioni. Nelle condizioni presenti, pagheremmo un prezzo estremamente alto.
Grazie per quanto farai, parlando in giro e nei corridoi delle camere, raccogliendo firme, rilasciando interviste.
Ricordami ai tuoi ed abbiti il più cordiale abbraccio
Tuo
Aldo

P.S. Anche gli amici di Bari hanno attenuato la loro voce per presunte ragioni elettorali. Dì loro che rischiano di essere puniti ben più gravemente, che se avessero detto che intendevano salvare un vecchio amico per ragioni umanitarie.
On. Elio Rosati 

77) A Corrado Guerzoni
(non recapitata)

Guerzoni,
Telefonare a Bottai, per chiedere se Cottafavi ha notizie dell’esito del mio appello a Waldheim e che cosa conta di fare.
Dell’esito della telefonata Lei si tenga informato, in modo che, a momento opportuno, si possa sapere qualche cosa.

M.
78) A Giuseppe Saragat
(non recapitata)

Caro Saragat,
desidero ringraziarti nel modo più vivo per le alte e nobili parole con le quali hai voluto esprimermi la tua comprensione e solidarietà. Questo tuo atteggiamento è in linea con l’ispirazione umanitaria che ha qualificato e qualifica la tua figura nella politica italiana. Tutto ciò mi conforta e mi incoraggia molto nella difficilissima prova.
Grazie ancora e cordialissimi saluti ed auguri
Tuo
Aldo Moro
Sen. Giuseppe Saragat
Palazzo Madama


79) A Corrado Guerzoni
(non recapitata)

collegarsi sempre con casa
Indicazioni per Guerzoni con infiniti ringraziamenti distribuire, senza fretta, le mie lettere a mia moglie e Sen. Saragat. ricercare con urgenza l’on. Riccardo Misasi che dovrebbe essere alla Commissione Giustizia della Camera o Piazza del Gesù o Gruppo Parlamentare. La prima è la più probabile. Sappia che egli è il mio portavoce e deve mettere in moto la Direzione. Dargli copia dei miei tre scritti, l’ultimo, come si legge, dovrebbe essere destinato a riferimento orale senza pubblicazione. Se però l’andamento della Direzione, Dio non voglia, fosse davvero deludente e preclusivo di positivi sviluppi, Lei potrà allora diramare alla stampa il testo dopo averne lealmente informato Misasi. Il punto delicato, come si intende, è il comportamento del Ministro, dicui non vorrei forzare le dimissioni, poiché preferisco soluzioni costruttive. Ma se l’atteggiamento altrui mi obbliga non ho scelta. Grazie tante ed i più affettuosi saluti
Aldo Moro

Gira ./. 

Aggiungo una lettera appello per Elio Rosati, che è la persona che più amo e stimo. Anch’essa è urgente anzi urgentissima per una mobilitazione dell’opinione pubblica che finora è mancata. Dispiace molto questo scarso rispetto della verità e, poi, dell’utilità del Partito. A parte i membri del Governo, la cui posizione è particolare (ma che potrebbero ispirare altri), ce n’è altri da recuperare. Freato ci riesce almeno un po’? E’ possibile far capire che quello che si propone ed ora si respinge è il meglio per la D.C. e sarà rimpianto tra pochissimi giorni? Che pensa dell’iniziativa di Craxi? Ha uno spessore? Freato riesce a pilotare Signorile?
Affettuosamente
Aldo Moro Non so l’indirizzo di Rosati. O è alla Camera o in casa non lontano dalla mia. Forse Freato lo conosce o
può conoscere.

80) A Eleonora Moro
(non recapitata)

Mia carissima Noretta,
vi sono molto vicino e gratissimo agli amici che, come vedo, vi confortano vi aiutano. Io discretamente. Mi spiace vedere la tua foto sulla stampa con atteggiamento così provato. Che Iddio ci
aiuti.
Mi pare che le parole rivolte al Partito siano riuscite vere ed efficaci. Speriamo che portino un salutare ripensamento eduna giusta discussione sulla quale si sia, com’è naturale, più sereni.
Vi abbraccio tutti dal profondo del cuore.
Aldo Moro  PS: Fai, ti prego, al più alto livello un ultimo sforzo con il Papa per una soluzione mediatrice. Non puoi
immaginare quanto sia più costruttiva. Prego la Provvidenza di ispirarlo e di spiegargli con umiltà
profondissima di non respingere questa mia. Il danno sarà grandissimo.
E’ un dovere di coscienza. Pignedoli? Poletti?


81) A Benigno Zaccagnini
(non recapitata)

Zaccagnini,
ti scongiuro. Fermati, in nome di Dio. Fin qui mi hai sempre ascoltato. Perché ora vuoi fare di tua testa.
Non sai. Non ti rendi conto di quale grande male tu stia preparando al Partito.
Finché sei ancora in tempo, poche ore, fermati e prendi la strada onesta di una trattativa ragionevole.
Che Dio ti assista.

Aldo Moro  

82) A Benigno Zaccagnini
(non recapitata)

Caro Zaccagnini,
ecco, sono qui per comunicarti la decisione cui sono pervenuto nel corso di questa lunga e drammatica esperienza ed è di lasciare in modo irrevocabile la Democrazia Cristiana. Sono conseguentemente dimissionario dalle cariche di membro e presidente del Consiglio Nazionale e di componente la Direzione Centrale del Partito.
Escludo ovviamente candidature di qualsiasi genere nel futuro. Sono deciso a chiedere al Presidente della Camera, appena potrò, di trasferirmi dal Gruppo Parlamentare della D.C. al Gruppo Misto. E’ naturale che aggiunga qualche parola di spiegazione. Anzi le parole dovrebbero essere molte, data la complessità della materia, ma io mi sforzerò di ridurle al minimo, cominciando, com’è ovvio, dalle più semplici. Non avendo mai pensato, anche per la feroce avversione di tutti i miei familiari, alla Presidenza della Repubblica, avevo immaginato all’inizio di legislatura di completare quella in corso come un vecchio al quale qualche volta si chiedono dei consigli e con il quale si ama fare un commento sulle cose, che l’età ed il personale disinteresse rendono, forse, obiettivo.
Come più volte ti ho detto, fosti tu a deviare questo corso delle cose, mentre furono ancora tuoi amici che fecero riserve, sempre nell’illusione che io dovessi dare ancora qualche cosa al Partito, non appena si accennò ad una presidenza di Assemblea, per concludere in tal modo la mia attività politica. Così mi sono trovato in un posto difficile e ambiguo, che dava all’esterno la sensazione di un predominio (inesistente) della D.C. ed all’interno creava imbarazzi, gelosie, equivoci, timori.
Essendoci lasciati in ottima intesa la sera del martedì, già pochi giorni dopo, qui dove sono, avevo la sensazione di avervi in qualche modo liberato e che io costituissi un peso per voi non per il fatto di non esserci, ma piuttosto per il fatto di esserci. E questo per ragioni obiettive, perché non c’è posto, accanto al Segretario Politico eletto dal Congresso, per un Presidente del Partito che abbia rispetto di sé e delle cose. E se il vostro profondo pensiero coincideva con quello che io avevo fatto valere, perché non accontentarci tutti in una volta? Aggiungerò poi (e questo va al di là della Presidenza del Consiglio Nazionale di cui abbiamo parlato sin qui) che io non ho compreso e non ho approvato la vostra dura decisione, di non dar luogo a nessuna trattativa umanitaria, anche limitata, nella situazione che si era venuta a creare. L’ho detto cento volte e lo dirò ancora, perché non scrivo sotto dettatura delle Brigate Rosse, che, anche se la lotta è estremamente dura, non vengono meno mai, specie per un cristiano, quelle ragioni di rispetto delle vittime innocenti ed anche, in alcuni casi, di antiche sofferenze, le quali, opportunamente bilanciate e con il presidio di garanzie appropriate, possono condurre appunto a soluzioni umane. Voi invece siete stati non umani, ma ferrei, non attenti e prudenti, ma ciechi. Con l’idea di far valere una durissima legge, dalla quale vi illudete di ottenere il miracoloso riassetto del Paese, ne avete decisa fulmineamente l’applicazione, non ne avete pesato i pro e i contro, l’avete tenuta ferma contro ogni ragionevole obiezione, vi siete differenziati, voi cristiani, dalla maggior parte dei paesi del mondo, vi siete probabilmente illusi che l’impresa sia più facile, meno politica, di quanto voi immaginate, con il vostro irridente silenzio avete offeso la mia persona, e la mia famiglia, con l’assoluta mancanza di decisioni legali degli organi di Partito avete menomato la democrazia che è la nostra legge, irreggimentando in modo osceno la D.C., per farla incapace di dissenso, avete rotto con la tradizione più alta della quale potessimo andar fieri. In una parola, l’ordine brutale partito chissà da chi, ma  eseguito con stupefacente uniformità dai Gruppi della D.C., ha rotto la solidarietà tra noi. In questa (cosa grossa, ricca di implicazioni) io non posso assolutamente riconoscermi, rifiuto questo costume, questa disciplina, ne pavento le conseguenze e concludo, semplicemente, che non sono più democratico cristiano. Essendo scontata in ogni caso dal momento del mio rapimento (e della vostra mistica inerzia) il mio abbandono della Direzione e del Consiglio Nazionale, restava, se il vostro comportamento fosse stato diverso e più costruttivo, la possibilità della mia permanenza senza alcun incarico nella famiglia democratica cristiana e che è stata mia per trentatré anni. Oggi questo è impossibile, perché mi avete messo in una condizione impossibile. E perciò il mio ritiro da semplice socio della D.C. è altrettanto serio, rigido ed irrevocabile quanto lo è il mio abbandono dalle cariche nelle quali avevamo creduto di poter lavorare insieme. Tutto questo è finito, è assolutamente finito. Ed ora che posso parlare, senza che nessuno pensi ad una pretesa di successione, a parte il mio durissimo giudizio sul Presidente del Consiglio e su tutti coloro che hanno gestito in modo assolutamente irresponsabile questa crisi, c’è, per dovere di sincerità ed antica appannata amicizia, la valutazione su di te, come, per così dire, il più fragile Segretario che abbia avuto la D.C., incapace di guidare con senso di responsabilità il partito e di farsi indietro quando si diventa consapevoli, al di là della propaganda, di questa incapacità. Guidare e non essere guidato è il compito del Segretario del più grande partito italiano.
Giunti a questo punto, i motivi di dissenso, che non ci faranno incontrare più, sono evidentemente molti. Tu non penserai che possa trattarsi solo del modo chiuso e retrivo che ha caratterizzato il vostro comportamento in questa vicenda, nella quale vi sembrerà di avere conseguito chissà quale straordinario successo. Questa è una spia, la punta dell’iceberg, ma il resto è sotto. Ho riflettuto molto in queste settimane. Si riflette guardando forme nuove. La verità è che parliamo di rinnovamento e non rinnoviamo niente. La verità è che ci illudiamo di essere originali e creativi e non lo siamo. La verità è che pensiamo di fare evolvere la situazione con nuove alleanze, ma siamo sempre là con il nostro vecchio modo di essere e di fare, nell’illusione che, cambiati gli altri, l’insieme cambi e cambi anche il Paese, come esso certamente chiede di cambiare.
Ebbene, caro Segretario, non è così. Perché qualche cosa cambi, dobbiamo cambiare anche noi. E, a parte il fatto che davvero altri (socialisti ieri, comunisti oggi) siano in grado di realizzare una svolta in accordo con noi -il che possiamo augurarci e sperare – la D.C. è ancora una così gran parte del Paese, che nulla può cambiare, se anch’essa non cambia. E per cambiare non intendo la moralizzazione, l’apertura del Partito, nuovi e più aperti indirizzi politici. Si tratta di capire ciò che agita nel profondo la nostra società, la rende inquieta, indocile, irrazionale, apparentemente indominabile. Una società che non accetti di adattarsi a strategie altrui, ma ne voglia una propria in un limpido disegno di giustizia, di eguaglianza, di indipendenza, di autentico servizio dell’uomo. Ecco tutto. Benché sia pessimista, io mi auguro che facciate più di quanto osi sperare. Non era questa la conclusione cui avevo pensato né l’addio immaginato per te ed i colleghi. Ma le cose sono così poco nelle nostre mani, specie se esse sono troppo deboli o troppo forti. Che Iddio ti aiuti ed aiuti il Paese. Cordialmente.
Aldo Moro

83) A Benigno Zaccagnini
(non recapitata)

Caro Zaccagnini,
la lunga e tormentata vicenda della mia prigionia presso le Brigate Rosse pone dei problemi ai quali è doveroso e sempre più urgente rispondere. Mi riferisco all’atteggiamento di totale indifferenza assunto dal Partito nei confronti della mia persona e della mia famiglia, la quale paga un prezzo altissimo per un modo di fare che non ha assolutamente precedenti nella D.C..
Quest’ultima è venuta incontro, più o meno, alle necessità che premevano sui suoi associati, ma mai, come in questo caso, è restata del tutto fuori da una vicenda gravissima, delicatissima e per la quale non era certo priva di mezzi d’intervento. Si poteva fare, solo che si fosse voluto rimuovere una inconsistente pregiudiziale, ed invece non si è fatto. Il culto esasperato del rispetto della legalità formale
ha reso rigidi e insensibili, ha ridotto ad essere soffocante, come mai era stata, la disciplina di partito, ha tolto ogni libertà di ragionevole movimento, ed ha sacrificato, con me e con la mia famiglia, quelle ragioni umanitarie che militano a favore, oltre che di vittime innocenti, ma anche di persone condannate le cui condizioni di salute e di vita abbisognano di particolare cura e per le quali si offre l’ospitalità, caritatevole o amichevole, di un paese straniero.
Questi sono i principi sanciti nella nostra coscienza civile, e nei paesi più evoluti non manca mai una giusta considerazione di ragioni umanitarie, siano esse prevalenti, di volta in volta, per le vittime innocenti o per persone ormai condannate. Io pensavo che, al di là della mia persona sofferente ed in pericolo, in un partito d’ispirazione cristiana a queste cose non si potesse guardare con indifferenza. E
proprio mentre i socialisti, sia pure in modo incompiuto, si fanno carico di cose delle quali ben prima proprio i cristiani dovevano avere la maggiore sensibilità.
Da qui un profondo stupore ed un profondo disagio. Certo l’impresa portata a termine dalle Brigate Rosse è di notevole rilievo politico: ma è pur vero che essa pone in luce quei problemi umanitari dei quali parlavo innanzi e dei quali né il partito, né tu potete assolutamente disinteressarvi. Ed invece ve ne disinteressate con sfacciato cinismo, essendo del resto in buona compagnia. Mi stupisco del fatto che
così si manifesti la tua sensibilità umana e cristiana.
Questo, a prescindere da tante altre cose, per gli aspetti personali e per quelli obiettivi, è un capitolo importante, ed altamente deludente, dei miei rapporti con la D.C. Questo disagio di fondo l’ho capito ogni giorno di più, questa incomprensione, questa diversità tra noi diventano ogni giorno più vistose, rendendomi impossibile di ritrovarmi con gli antichi amici con la scioltezza e la naturalezza di sempre.
Questa irremovibile intolleranza, che nasce, sia ben chiaro, da un fatto morale più che politico mi induce a questo punto a rendere formali le mie dimissioni dal Partito, intendo non solo dalle cariche, comprese quelle ipotetiche e future, ma proprio dal corpo, dalla famiglia della D.C. Passerò perciò, per la durata della legislatura al Gruppo Misto. Dopo tanti anni di amicizia, che ha sofferto anch’essa di
questa crisi ci troviamo su posizioni estremamente lontane ed incongiungibili.
Stranamente vedo in te quell’arroganza del potere che abbiamo tante volte lamentato in altri e che, ricordalo, il paese sente con crescente insofferenza, senza che possa essere questa assurda gara di resistenza nello sbarazzarci di ogni ragione umanitaria a farcelo perdonare.
Sia dunque ben chiaro, perché non vi siano equivoci, che non si pone solo il problema della mia persona per quel che poco significa per la D.C., ma il problema oggetto del modo di reagire con senso cristiano e democratico di fronte a situazioni di obiettivo pericolo e che richiedono interventi umanitari.
Ritengo dunque sbagliata e urtante la linea del partito che hai assunto e che incautamente si è fatto in modo che tu assumessi. La colpa è grave in entrambi i casi. Siamo guidati male, in modo insicuro e non coerente ai principi.
Ma in un travaglio così complesso non sono solo queste le ragioni della mia decisione. 

84) A Eleonora Moro
(non recapitata)
A Noretta
la lettera di dimissioni a Zaccagnini è da spedire o rendere pubblica a giudizio concorde tuo, di Freato,
Rana e Guerzoni.
Credo ci sia una buona uscita dell’Università

85) A Eleonora Moro
(recapitata il 5 maggio)
Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunge incomprensibilmente l’ordine di esecuzione.
Noretta dolcissima, sono nelle mani di Dio e tue.
Prega per me, ricordami soavemente. Carezza i piccoli dolcissimi, tutti. Che Iddio vi aiuti tutti. Un bacio di amore a tutti.
Aldo 


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