Liquida

UN INDIO DAI CAPELLI NERI

by on Mar.14, 2006, under Fausto e Iaio

Lorenzo Iannucci,detto Iaio,e' un ragazzo di quartiere.Conosce anche gli angoli più nascosti del Casoretto,di quel complesso sistema di viuzze e piazzette che fa di quella parte di Milano un enorme paesone,dove tutti si conoscono ieri come oggi.Un quartiere popolare,dove la sinistra ha la maggioranza:il Pci ottiene negli anni Settanta in questa zona risultati sorprendenti.Figlio di operai,immigrati cresciuti nella zona più popolosa della grande Metropoli.Jaio viene a Milano che è piccino,solo nove anni.Il padre Mario vuole cambiare aria e spostarsi dal Meridione in Lombardia:il lavoro sicuro,un avvenire per i figli,una vita migliore.Un anno dopo,nel 1970,Lorenzo si ammala per una malattia nervosa causata dal trauma del cambiamento di vita,dal clima .La famiglia Iannucci si trova alle prese imbatte con la sanità milanese, con le lungaggini burocratiche,proprio come nel loro Sud.

Poi arriva la scuola media e dai fiocchetti azzurri si inizia a studiare per davvero.Va bene,intendiamoci, anche se per i professori e' un po' svogliato. I pomeriggi li passa all'oratorio.Riesce a starci nonostante il carattere ribelle,lega con gli amichetti,scambia con loro le figurine,gioca a pallone,senza soste.Sono gli anni della spensieratezza. A quattordici anni ,però,iniziano i primi scontri con la famiglia,le scuole superiori creano le prime fratture,i genitori scelgono gli indirizzi per i figli e così Jaio si iscrive al professionale come disegnatore meccanico. Lorenzo abbandona i biliardini della parrocchia.Gli stavano stretti. C'e' un mondo fuori che sta cambiando e sente che bisogna fare qualcosa. Jaio ha fretta,come tutti del resto.Ascolta musica,quella di allora,trasmessa dalle prime radio libere come Canale 96,Radio Regione , Radio Popolare e Radio Specchio Rosso,quella del Loencavallo.Molla i biliardini di Don Perego per abbandonarsi alla politica,aderendo attivamente al Centro Sociale Leoncavallo,occupato nel 1975.E' una ex fabbrica di medicinali trasformata in luogo di incontro e di spettacoli musicali."Ero contrario a chi frequentasse il centro-dice il padre al settimanale Panorama-Ma mio figlio mi aveva assicurato che lì non facevano nulla di male.Del resto mi fidavo di lui:era un ragazzo maturo e ancora rispettoso dei genitori,al punto che se voleva fumare una sigaretta lo faceva ancora di nascosto da me".

Lorenzo viene bocciato nel 1977 all'Istituto professionale Settembrini(frequenta il terzo anno)ma non demorde e torna ancora a scuola. A febbraio 1978,poco prima di morire,la abbandona.Sarà l'ultima volta che vedrà i suoi compagni di classe.E' in cerca di un lavoro,come tutti i diciottenni di allora.Cerca un'indipendenza per poter metter su casa un giorno o fare qualche viaggio.Si iscrive alle liste di collocamento del Comune.Spesso si mette in fila per firmare il cartellino rosa della disoccupazione. "Da qualche mese aveva trovato da lavorare presso un restauratore,un impiego senza libretto che però gli risparmiava l'umiliazione di chiedermi le cinquecento o le mille lire per il cinema"-dirà anni dopo la madre di Jaio.Si scopre stanco ,sfibrato,lo sfruttano fino all'inverosimile,spesso dodici ore di lavoro al giorno per una manciata di lire.Intende mollare il lavoro ma prima,deve finire una sala da pranzo:il padrone gli potrebbe dare trecentomila lire.Da due anni suona la chitarra.Lo zio,un magazziniere della scuola elementare,gli regala una sei corde.La ricordo perché un pomeriggio al Parco Lambro suonammo per alcune ore,senza fermarci.Amava il blues.Quando si iniziava con il giro di mi era contento perché capiva che poteva improvvisare.E' portato per la musica.Ha un orecchio particolare.Lui abita in due locali al terzo piano di un vecchio stabile in piazza San Materno.Qualcosa come ventimila lire al mese d'affitto.In casa ci sta poco perché non possiede una sua stanza, neppure un angolo per le cose personali.Dorme in una brandina nella stanza da letto dei genitori. Così e' sempre in movimento.Adora i bambini.Una volta sulla 62 chiede a una giovane signora che non conosce:"Mi presta il bambino che ci gioco un po’?".La signora avvicina suo figlio a Jaio.E giù boccacce e risate a crepapelle.E' fatto così. Allegro,sempre sorridente,di un sorriso imbarazzante.Sa essere spontaneo anche quando torna a casa dal suo lavoro:dal falegname decoratore lo sfrutta ma poco prima di morire intende lavorare in artigianato con altri.Sempre preso a far progetti di vita,con il suo amico Antonio sogna di comprare una fattoria o aprire una comune.Ama viaggiare:se avesse tirato su qualche soldo sarebbe andato certamente in India.Veste come va di moda negli anni Settanta ma lui e' libero anche da quegli schemi:si cuce perfino i pantaloni larghi addosso.Quando e' al Leoncavallo si sente un re.Gli piace mettersi la bombetta,comprata da un amico nei mercatini di Londra.

La porta sempre. E balla per ore,senza fermarsi.E' buffo con quella faccia da giovane indiano.Uno splendido indio dai capelli neri.

Jaia lo ricorda ancora oggi."Quando aveva 14 anni lo chiamavano Pollicino,perché era piccolo,poi quando andò alle superiori divenne alto,magro,coi capelli lunghi a caschetto:il suo modo di fare affascinava le ragazze con le quali aveva un rapporto bello,era amato dalle persone e si era costruito un gruppo intorno a lui".Jaia nota che nei giorni prima di essere ucciso è cupo,triste." Non mi raccontò nulla a proposito di ciò che lo assillava:solo dopo la sua morte collegai questo suo atteggiamento a qualcosa di più grave,inerente alle indagini che stava svolgendo insieme ad altri sul mondo dello spaccio della droga nel quartiere,qualcosa che lo angosciava in modo profondo".Politicamente e' un "cane sciolto",nel senso che non fa parte di un'organizzazione politica.Va al Leoncavallo,vive anche i momenti delle case occupate.Ce n'e' una in via Pasteur dove andava spesso.Si avvicina all'area dell'Autonomia operaia milanese pur con qualche distinguo.Rifiuta però le etichette.Di lui rimangono i ricordi degli amici e tante poesie,scritte da anonimi ragazzi milanesi che posano i loro pezzi di carta in via Mancinelli,nel luogo del delitto."Sai Jaio,quando mi sei tornato davanti agli occhi?Sentendo un pezzo dei Rolling Stones.Ti ho visto ballare al Leoncavallo.Si erano accese le luci,ma tu continuavi, scuotendo la testa,i capelli,con la camicia marrone fuori dai pantaloni,sulla maglietta.Poi eri venuto in radio,al di là del vetro,col naso schiacciato.Ridevi sorridevi. E sceglievamo la musica in silenzio,frugando per trovare quella giusta.E' buffo,no,con i Rolling Stones?E' l'imperialismo,musica decadente.Quando c' è stato il convegno sull'arte dell'arrangiarsi eri un po' scazzato ma non l'avevi presa male.Il Leoncavallo ti piaceva di più.Un po' più disadorno,ma si ballava e poi c'era bel blues.Altra musica.Ma non abbiamo mai cantato l'Internazionale insieme.Non mi sembra ci sia mai stato bisogno o l'occasione.Non era musica che ti stava bene addosso.Avevi ancora una crosta sul naso stamane, sai?Ti hanno messo proprio in un brutto posto,freddo,c'era troppo raso bianco.Neppure il raso ti andava bene. I fiori,sì.La crosta sul naso,una crosticina e i capelli tirati indietro sulla fronte.Ma io la fronte non l'avevo mai vista.Un indio.Un bellissimo indio con le labbra grosse ,proteso in avanti.Un indio dai capelli neri e con gli occhi gentili".

Con Fausto si conoscono da bimbi,mentre giocano con i calzoni ancora corti alla parrocchia di Santa Maria Bianca,nel cuore del Casoretto.Frequentano i corsi di catechismo e in preparazione della Prima Comunione.Da allora sono diventati inseparabili,amici per la pelle.Giocano per ore,senza stancarsi con quelle scarpette sempre sporche di terra e le magliette che stanno sempre più strette.Sempre insieme alle feste con gli amici,al Lambro,al Leoncavallo.Angelo,vicino di casa e compagno di giochi ai tempi in cui si divertiva nella squadretta dell'oratorio,offre un ricordo incontaminato."Erano gentili con tutti,legati da un affetto fraterno".Di Jaio diranno alcuni amici."Non era un arrabbiato,nemmeno un filosofo:alle dotte analisi politiche preferiva la discussione sui problemi concreti,quotidiani".Rimangono le parole di Paolo che in una lettera a Lotta Continua dona l'esatta percezione di Lorenzo.Una sera gli chiese cosa stesse pensando e lui rispose con una battuta ."Niente, sogno".


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