Liquida

POST SCRIPTUM:Palermo, Arcore, Italia

by on Mag.13, 2006, under Marco Travaglio

Due giorni dopo l'intervista di Paolo Borsellino, il 23 maggio 1992, il giudice Giovanni Falcone – distaccato presso il ministero della Giustizia e candidato numero uno per diventare il primo Procuratore nazionale antimafia – salta in aria insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli uomini della scorta sull'autostrada Punta Raisi-Palermo in località Capaci. Meno di due mesi dopo, il 19 luglio, salta in aria (con 5 uomini della scorta) anche Paolo Borsellino, da poche settimane tornato a Palermo (dopo la parentesi di capo della Procura di Marsala): anche lui è candidato alla Procura antimafia, ed è l'ultima "memoria storica" del glorioso pool antimafia di Palermo, nonché l'uomo di punta di quella Procura palermitana che, come ha rivelato lui stesso nell'intervista, sta indagando sui legami fra esponenti mafiosi e il duo Berlusconi-Dell'Utri.Più che naturale che i magistrati di Caltanissetta, che da nove anni indagano sulle stragi di Capaci e via D'Amelio, appena scoperta l'esistenza di quell'intervista, l'abbiano subito acquisita agli atti. Ritenendola utilissima per iniziare la ricerca dei "mandanti a volto coperto" delle stragi. Così ha fatto Luca Tescaroli, che indagava (prima della sua partenza poco spontanea da Caltanissetta) sui registi occulti di Capaci. E così han fatto Anna Palma e Antonino Di Matteo, che investigavano (Prima del loro trasferimento a Palermo) su quelli di via D'Amelio.

Di che cosa si stava occupando Borsellino negli ultimi mesi della sua vita, nella sua nuova veste di procuratore aggiunto a Palermo? Rispondere a questa domanda significa, probabilmente, scoprire il movente vero del suo assassinio. Un assassinio che, a differenza di quello di Falcone, non trova alcuna spiegazione logica nemmeno nell'ottica mafiosa. Infatti, fino alla vigilia, non rientrava nei piani a breve e medio termine di Cosa nostra, che – come hanno riferito diversi collaboratori di giustizia – stava preparando attentati contro ben altri obiettivi (ad esempio l'on. Calogero Mannino). Che cosa li indusse a ripiegare precipitosamente su Borsellino?

Palma e Di Matteo, nella loro requisitoria al processo per la strage Borsellino, hanno così ricostruito il contesto di quella drammatica intervista, davanti alla terza sezione della Corte d'assise nissena, nell'udienza del 29 settembre 1999: "Abbiamo accertato che l'impegno dopo la strage di Capaci del dottor Borsellino, che pure da sempre era abituato a lavorare dalla mattina alla sera, divenne assolutamente frenetico, spasmodico, quasi parossistico. Borsellino iniziò a girare come una trottola impazzita, a interrogare pentiti, a rispolverare vecchi rapporti e indagini che Giovanni Falcone aveva seguito con grande interesse. Borsellino rivisitò vecchi rapporti riguardanti la attività e i collegamenti milanesi delle famiglie palermitane. Borsellino rilasciò anche interviste su questi argomenti, prendendo spunto dalle vicende giudiziarie di Vittorio Mangano e di uomini d'onore della famiglia di Santa Maria di Gesù. In una intervista prodotta agli atti, che rilasciò alla televisione francese il 21 maggio del '92, quindi ancor prima della strage di Capaci, asserì – andate a rileggere il testo letterale di quella intervista, anche questa è un po' stupefacente – l'esistenza di indagini che risalivano da Vittorio Mangano e da uomini d'onore della famiglia di Santa Maria di Gesù fino a Dell'Utri e ai canali di riciclaggio del denaro sporco … ".

Ancor più inquietanti gli scenari tracciati da Tescaroli nella requisitoria pronunciata nel 1999 dinanzi alla Corte di assise d'appello di Caltanissetta, nel secondo processo ai killer di via D'Amelio (per chi la volesse leggere integralmente: Perché fu ucciso Giovanni Falcone di Luca Tescaroli, Soveria Mannelli, Rubettino, 2000) Scenari che contemplano quei tre nomi, pronunciati nella fatidica intervista da Borsellino: Silvio Berlusconi, Marcello Dell'Utri, Vittorio Mangano. "Non v'è dubbio – dice Tescaroli – che l'agire criminale di Cosa nostra potrebbe apparire prima facie dissennato, se valutato sìc et simpliciter nel suo divenire fenomenico, alla stregua della prevedibile controffensiva dello Stato. In realtà lo stesso appare, di contro, sulla scorta delle acquisizioni probatorie, consono al disegno criminale e sincrono ai tempi di evoluzione di attività relazionali esterne intraprese dai vertici dell'organizzazione.

"La linea di attacco ordita dal 1991 non mirava a produrre una rottura fine a se stessa, ma a una cesura protesa alla creazione di nuovi equilibri e alleanze con nuovi referenti politico-istituzionali-fìnanziari: una frattura costruttiva oggettivamente agevolata dal fiorire, all'inizio degli anni '90, di una serie di iniziative politiche, riconducibili in gran parte alla massoneria deviata o all'estremismo politico di destra, e caratterizzate, tra l'altro, dal sorgere di piccoli movimenti con vocazione separatista in più punti del territorio nazionale: le Leghe Italiane Pugliese, Meridionale-Centro-Sud-Isole, Molisana, Marchigiana, degli Italiani, Sarda, La Lega delle leghe, quella Nazional Popolare, Sud della Calabria, Toscana, Laziale, Sicilia Libera (che veniva fondata il 28 ottobre 1993, a Catania, da Antonino Strano, poi divenuto assessore regionale di An per il Turismo e lo Sport, nonché dall'avv. Giuseppe Lipera e da Gaspare Di Paola, dirigente del gruppo imprenditoriale riconducibile ai fratelli Costanzo), Sicilia Libera nell'Italia Libera ed Europea (che veniva fondata in data 8 ottobre 1993, a Palermo, presso lo studio del notaio Salvatore Li Puma, residente in Corleone, da Tullio Cannella, da Vincenzo Edoardo La Bua, e da altri, e che avrebbe dovuto avere come referente, nella Provincia di Trapani, Gioacchino Sciacca), ecc.

"Leonardo Messina ha riferito che i vari rappresentanti Provinciali di Cosa nostra si erano riuniti, nell'Ennese, nel settembre-ottobre del 1991, per "gettare le basi per un nuovo progetto politico" di stampo separatista: creare una nuova formazione. la Lega del Sud, appoggiata da un un'ala della Massoneria e da Cosa nostra, nel cui ambito dovevano entrare uomini dell'organizzazione, in contrapposizione alla Lega Nord, costituente, a suo dire, espressione della P2 di Licio Gelli e di Giulio Andreotti [ … ]. "A riprova del fatto di come i vertici dell'organizzazione fossero impegnati, correlativamente e nel mentre dell'esecuzione di un vero e proprio disegno cospirativo, alla ricerca e al consolidamento di più legami per giungere a individuare nuovi referenti politico-istituzionali, sorreggono le indicazioni" di diversi collaboratori di giustizia, fra i quali Angelo Siino, Salvatore Cancemi, Giovanni Brusca e Maurizio Avola.

"Siino evidenziava di aver appreso da Nino Gargano e da Giuseppe Madonia che Bernardo Provenzano stava adoperandosi per "agganciare Craxi tramite Berlusconi". Ha aggiunto di avere, successivamente, saputo da Antonino Gioè che Bagarella, tramite un ex ufficiale della Guardia di finanza, amico di Salvatore Di Ganci [ … ] stava cercando di contattare una persona influente vicina all'on. Craxi e che, a tal fine, era necessario "fare più rumore possibile" (alludendo con ciò ad attentati), onde consentirgli poi di intervenire per far sistemare "la situazione in Italia" a favore di Cosa nostra".

Il 29 gennaio '98, davanti al pm Tescaroli, Cancemi racconta che "20 giorni prima della strage di Capaci", mentre già fervevano i preparativi per imbottire di tritolo l'autostrada Punta RaisiÄPalermo, partecipò a un vertice "presso l'abitazione di Girolamo Guddo, alla presenza di Raffaele Ganci e Salvatore Biondino, nel corso del quale Riina ebbe a dire: 1o mi sto giocando i denti, possiamo dormire tranquilli, ho Dell'Utri e Berlusconi nelle mani, che questo è un bene per tutta Cosa nostra". Questo incontro avvenne mentre era in corso la preparazione dell'attentato [ … ] quasi contemporaneamente alle confidenze ricevute dal Ganci [cioè fatte da Ganci a Cancemi] sulle "persone importanti" (incontrate da Riina prima della strage). Il contesto in cui le parole di Riina si inserivano era proprio quello riguardante la strage e le conseguenze che dalla stessa sarebbero potute derivare a tutta l'organizzazione [ … ] Riina reiterava discorsi fatti anche in precedenza, confermando che gli accordi intervenuti con quelle "persone importanti" avrebbero garantito non soltanto i provvedimenti legislativi favorevoli per tutta l'organizzazione ed in genere interventi con l'Autorità giudiziaria, ma anche la protezione per le conseguenze derivanti dall'esecuzione della strage". In aula, il 22 ottobre '99, Cancemi aggiunge che Riina tranquillizzava tutti dicendo: "Queste persone sono quelle che a noi ci devono portare del bene, queste persone noi le dobbiamo garantire ora e nel futuro di più".

Nel mese di giugno, a cavallo fra Capaci e via D'Amelio, ci furono altri vertici, in cui "Riina specificò di aver chiesto favori legislativi alle "persone importanti"", le quali si erano impegnate a soddisfarle. Le richieste riguardavano – ricorda Cancemi – "annullare 'stu 41 bis, sta legge sui pentiti, sequestri di beni, insomma un sacco di cose: l'ergastolo, tutte queste cose [ … ]. Lui le ripeteva diverse volte … ". E "nella riunione di giugno Riina aveva una certa premura, una certa urgenza per fare questa strage di Borsellino. Ha spiegato che 'sta cosa si deve fare subito [ … ]. Lui era tranquillo, aveva queste persone e quindi lavorava sicuro … ".

Dunque – riepiloga Tescaroli – "Cancemi riferiva che Riina, in epoca antecedente alla strage di Capaci, si era incontrato con "persone importanti" [ … ], autorevoli personaggi del mondo politico nazionale (il cui nominativo apprendeva da Riina e ha indicato al processo d'appello)", per avviare negoziati "aventi a oggetto provvedimenti legislativi favorevoli all'organizzazione, interventi sull'Autorità giudiziaria e garanzie dalle conseguenze derivanti dalla strage". Cancemi riferiva pure "che appartenenti al gruppo Fininvest versavano periodicamente una somma di 200 milioni lire a titolo di contributo ["Questi soldi, con assoluta certezza, Riina li usava per Cosa nostra, per alimentare Cosa nostra", assicura Cancemi. Sottolineava che il Riina si era attivato, a far data dagli anni 1990-91, per coltivare direttamente i rapporti con i vertici di detta struttura imprenditoriale (mettendo in disparte Vittorio Mangano, che fino a quel momento li aveva gestiti) e che, tramite Craxi, stava cercando di mettersi la Fininvest nelle mani o viceversa. Peraltro, non sapeva precisare se e come, Riina avesse preso il controllo diretto di questo rapporto, ma ricollegava la stagione stragista proprio a tale avvicendamento. Ha aggiunto che Riina, nel corso del 1991, gli aveva riferito che detti soggetti erano "interessati ad acquistare la zona vecchia di Palermo" e che lui stesso si sarebbe occupato dell'affare, avendolo "nelle mani". Riina e Mangano gli avevano fatto presente che era stata incaricata una persona, chiamata "ragioniere", per seguire "materialmente l'operazione". E ancora [Cancemi] ha dichiarato di aver appreso da Raffaele Ganci, intorno agli anni 1990-1991, mentre transitavano con l'autovettura in prossimità di via Notarbartolo, che in quella zona vi erano dei ripetitori che interessavano "a Berlusconi". Sottolineava di aver ricevuto conferma di quest'ultima circostanza dal Riina. Va rilevato, solo incidentalmente, che le indicazioni del Cancemi, con specifico riferimento agli esborsi di denaro, hanno trovato puntuali conferme nelle dichiarazioni di altri collaboranti (Francesco Paolo Anzelmo, Calogero Ganci, Aurelio Neri, Antonino Galfiano e Giovan Battista Ferrante) e riscontri obiettivi.

"Cancemi ha fatto riferimento a contatti tra i vertici di Cosa nostra e soggetti capaci di orientare la legislazione in senso favorevole all'organizzazione, intercorsi sia in epoca precedente, che successiva all'arresto di Salvatore Riina, e ha dichiarato di aver avuto conferma – da una frase pronunciata da quest'ultimo: la responsabilità è mia", nel corso di una riunione tenutasi per brindare al buon esito della strage di Capaci e per deliberare quella di via D'Amelio – che il Riina aveva ricevuto precise garanzie in favore dell'organizzazione, nonostante l'effettuazione di un eclatante attentato da compiersi a breve distanza da uno parimenti grave, da parte delle persone importanti (che ha indicato nei dottori Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi) verso le quali aveva presentato tutta una serie di richieste, fra le quali quelle di "far annullare 'sta legge sui pentiti ", di abolire l'ergastolo e di eliminare la normativa sul sequestro dei beni o di affievolirne le conseguenze". Dunque le "persone importanti" che, secondo Cancemi, avrebbero incontrato Riina incoraggiandolo nella sua strategia volta a scalzare i vecchi partiti e a favorire la nascita di nuovi soggetti politici che diventassero referenti più credibili e utili per Cosa nostra, sarebbero Berlusconi e Dell'Utri

Cancemi fa i loro nomi – dicendo di averli appresi dalla bocca dello stesso Riina – soltanto al processo di appello per la strage di Capaci. Dove racconta anche la sua missione presso Mangano, per convincerlo a lasciare a Riina la gestione dei rapporti, coltivati per vent'anni, con Berlusconi e Dell'Utri. "Io – racconta in aula Cancemi – quando sono andato da Mangano, ci dissi: "Vittorio, senti qua, ho parlato cu' 'u zu' Totuccio [Riina – e mi disse che per quelle persone, Dell'Utri e Berlusconi, siccome lui se l'ha messo nelle mani lui, che è un bene per tutta Cosa nostra, quindi tu fammi questa cortesia [ … ] mettiti da parte perché è una cosa che sta portando avanti 'u zu' Totuccio, e quindi mettiti da parte" [ …]. Il Mangano mi disse: "Ma, perciò, è una vita che ce l'ho nelle mani, ora mi devo mettere da parte. Ma perché? – dice – perché io non sono un uomo d'onore e non posso portare le cose avanti io?". Ci dissi: "Vittorio, per cortesia, fammi questa cortesia, non insistere, non mi dire niente. Quando lui mi dice che è un bene per tutta Cosa nostra, che cosa ci devo dire io? Dimmelo tu" [ … ]. Poi il Riina mi disse che queste persone erano interessate ad acquistare la zona vecchia di Palermo [ … ]. E mi disse: "Me la sbrigo io, come ti ho detto che ce li ho nelle mani io, ci penso a tutto io" [ … ]. Siamo, credo, nel 1991".

Nell'udienza del 22 ottobre 1999, il pm Tescaroli domanda a Cancemi: "Senta, lei ha fatto riferimento – per quanto attiene l'individuazione dell'epoca in cui eseguire la strage di Capaci – a questi accordi, a questi contatti intercorsi tra queste "persone importanti" e Riina. Chi sono queste persone importanti?". Cancemi risponde con un filo di imbarazzo: quella è la prima volta che ne fa i nomi e i cognomi, e lo fa – chissà perché – proprio in un momento in cui i carabinieri non sono più i suoi esclusivi "angeli custodi": "Ma io quando… quando me l'ha detto il Ganci lui non me l'ha fatti i nomi, quando stavamo andando… indietro… a Capaci. Mi disse solo "4 persone importanti": `U zu' Totuccio si incontrò con persone importanti". Poi, io, più avanti, l'ho saputo da Totò Riina: e parlava di Dell'Utri e Berlusconi".

Poi ritorna sul tema delle presunte tangenti Fininvest a Cosa nostra (la storia dei 200 milioni): "Riina diceva che era un contributo che arrivava da parte di Dell'Utri e Berlusconi a Cosa nostra Mi disse che loro avevano delle antenne, ripetitori diciamo, nella zona che Ganci Raffaele me l'ha fatto vedere una volta passando di là [ … I. Posso dire pure che Riina mi disse che loro, intendo sempre quelle due persone, erano interessate a comprare la zona vecchia di Palermo. Quindi il Riina diceva che questo era un contributo che arrivava per Cosa nostra". Tescaroli pone un'altra domanda precisa: "Allora, lei sa se queste persone siano state correlate, accostate alle possibili conseguenze derivanti dalla strategia stragista?". E Cancemi: "Ma guardi, io le posso dire con assoluta certezza che il Riina non aveva nessun timore, nessuna paura, aveva una franchezza enorme. Non spiegava che ci potevano essere dubbi [ … ], anzi sollecitava, aveva una certa premura di fare questa strage. Specialmente quella di Borsellino".

Tratto da: "L'odore dei soldi" di Travaglio-Veltri


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