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Intervista a Borsellino 19 maggio 1992

by on Dic.25, 2006, under Giovanni Falcone e Paolo Borsellino/ Antimafia

Intervista rilasciata dal magistrato Paolo Borsellino il 19 Maggio 1992 al giornalista Jean Pierre Moscardo dell’Espresso


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Tra queste centinaia di imputati ce n’è uno che ci interessa: tale Vittorio Mangano, lei l’ha conosciuto?

«Si, Vittorio Mangano l’ho conosciuto anche in periodo antecedente al maxiprocesso, e precisamente negli anni fra il’75 e l’80. Ricordo di avere istruito un procedimento che riguardava delle estorsioni fatte a carico di talune cliniche private palermitane e che presentavano una caratteristica particolare. Ai titolari di queste cliniche venivano inviati dei cartoni con una testa di cane mozzata. L’indagine fu particolarmente fortunata perché – attraverso dei numeri che sui cartoni usava mettere la casa produttrice – si riuscì rapidamente a individuare chi li aveva acquistati.
Attraverso un’ispezione fatta in un giardino di una salumeria che risultava aver acquistato questi cartoni, in giardino ci scoprimmo sepolti i cani con la testa mozzata. Vittorio Mangano restò coinvolto in questa inchiesta perché venne accertata la sua presenza in quel periodo come ospite o qualcosa del genere – ora i miei ricordi si sono un po’ affievoliti – di questa famiglia, che era stata autrice dell’estorsione.
Fu processato, non mi ricordo quale sia stato l’esito del procedimento, però fu questo il primo incontro processuale che io ebbi con Vittorio Mangano. Poi l’ho ritrovato nel maxiprocesso perché Vittorio Mangano fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come uomo d’onore appartenente a Cosa Nostra».

Uomo d’onore di che famiglia?


«L’uomo d’onore della famiglia di Pippo Calò, cioè di quel personaggio capo della famiglia di Porta Nuova, famiglia alla quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta. Si accertò che Vittorio Mangano – ma questo già risultava dal procedimento precedente che avevo istruito io, e risultava altresì dal cosiddetto "procedimento Spatola" [il boss Rosario Spatola, potente imprenditore edile, NDR] che Falcone aveva istruito negli anni immediatamente precedenti al maxiprocesso – che Mangano risiedeva abitualmente a Milano città da dove, come risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale dei traffici di droga che conducevano alle famiglie palermitane».


E questo Vittorio Mangano faceva traffico di droga a Milano?

«Il Mangano, di droga (Borsellino comincia a parlare, poi si corregge. NDR), Vittorio Mangano, se ci vogliamo limitare a quelle che furono le emergenze probatorie più importanti, risulta l’interlocutore di una telefonata intercorsa tra Milano e Palermo nel corso della quale lui, conversando con un altro personaggio delle famiglie mafiose palermitane, preannuncia o tratta l’arrivo di una partita di eroina chiamata alternativamente, seco do il linguaggio che si usa nelle intercettazioni telefoniche, “magliette” o “cavalli”. Il mangano è stato poi sottomesso a processo dibattimentale ed è stato poi condannato per questo traffico di droga. Credo che non venne condannato per associazione mafiosa – beh, sì per associazione semplice – riporta in primo grado una pena di 13 anni e 4 mesi di reclusione più 700 milioni di multa…La sentenza di Corte d’Appello confermò questa decisione di primo grado».


Dove è stato arrestato, a Milano o a Palermo?

«A Palermo la prima volta (è la risposta di Borsellino; ai giornalisti interessa capire in quale periodo il mafioso vivesse ad Arcore, NDR».

E si sa cosa faceva a Milano?

«A Milano credo che lui dichiarò di gestire un’agenzia, ippica o qualcosa del genere. Comunque che avesse questa passione dei cavalli risulta effettivamente la verità, perché anche nel processo, quello delle estorsioni di cui ho parlato, non ricordo a che proposito venivano fuori i cavalli. Effettivamente dei cavalli, non "cavalli" per mascherare il traffico di stupefacenti».


Ma lui comunque era già uomo d’onore negli anni Settanta?

«…Buscetta lo conobbe già come uomo d’onore in un periodo in cui furono detenuti assieme a Palermo antecedente gli anni Ottanta, ritengo che Buscetta si riferisca proprio al periodo in cui Mangano fu detenuto a Palermo a causa di quell’estorsione nel processo dei cani con la testa mozzata… Mangano negò in un primo momento che ci fosse stata questa possibilità d’incontro… ma tutti e due erano detenuti allUcciardone qualche anno prima o dopo il 77».


Volete dire che era prima o dopo che Mangano aveva cominciato a lavorare da Berlusconi? Non abbiamo la prova…

«Posso dire che sia Buscetta che Contorno non forniscono altri particolari circa il momento in cui Mangano sarebbe stato fatto uomo d’onore. Contorno, tuttavia – dopo aver affermato, in un primo tempo, di non conoscerlo – precisò successivamente di essersi ricordato, avendo visto una fotografia di questa persona, un presentazione avvenuta in un fondo di proprietà di Stefano Bontade (uno dei capi dei corleonesi. NDR)».

Un inquirente ci ha detto che al momento in cui Mangano lavorava a casa di Berlusconi c’è stato un sequestro, non a casa di Berlusconi però dì un invitato [Luigi D’Angerio, NDR] che usciva dalla casa di Berlusconi.

«Non sono a conoscenza di questo episodio».


Dunque quando Mangano parla di “cavalli” intendeva droga?

«Diceva "cavalli” e diceva “magliette”, talvolta».

Tra l’altro questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga è una tesi che fu asseverata nella nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta in dibattimento, tant’è che Mangano fu condannato».

E Dell’Utri non c’entra in questa storia?

«Dell’Utri non è stato imputato nel maxiprocesso, per quanto io ricordi. So che esistono indagini che lo riguardano e che riguardano insieme Mangano».

Dell’Utri. Marcello Dell’Utri o Alberto Dell’Utri (Marcello e Alberto sono fratelli gemelli, Alberto è stato in carcere per il fallimento della Venchi Unica, oggi tutti e due sono dirigenti Fininvest. NDR)

«Non ne conosco i particolari. Potrei consultare avendo preso qualche appunto (Borsellino guarda le carte. NDR), cioè si parla di Dell’Utri Marcello e Alberto, entrambi».

Quelli della Pubblitalia, insomma?


«Sì». Sì, ma quella conversazioni con Dell’Utri poteva trattarsi di cavalli?
«La conversazione inserita nel maxiprocesso, se non piglio errori si parla di cavalli che dovevano essere mandati in un albergo (Borsellino sorride. NDR). Quindi non credo che potesse trattarsi effettivamente di cavalli. Se qualcuno mi deve recapitare due cavalli, me li recapita all’ippodromo, o comunque al maneggio. Non certamente dentro l’albergo».
In un albergo. Dove?
«Oddio, i ricordi! Probabilmente si tratta del Plaza (l’albergo di Antonio Virgilio. NDR) di Milano».
Non le sembra strano che certi personaggi, grossi industriali come Berlusconi, Dell’Utri, siano collegati a uomini d’onore tipo Vittorio Mangano?.
Come uomo, non più come giudice, come giudica la fusione che abbiamo visto operarsi tra industriali al di sopra di ogni sospetto come Berlusconì e Dell’Utri e uomini d’onore di Cosa Nostra? Cioè Cosa Nostra s’interessa all’industria, o com’è?
«A prescindere da ogni riferimento personale, perché ripeto dei riferimenti a questi nominativi che lei fa io non ho personalmente elementi da poter esprimere, ma considerando la faccenda nelle sue posizioni generali: allorché l’organizzazione mafiosa, la quale sino agli inizi degli anni Settanta aveva avuto una caratterizzazione di interessi prevalentemente agricoli o al più di sfruttamento di aree edificabili. All’inizio degli anni Settanta Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa. Un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all’industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo di poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso».
Dunque lei dice che è normale che Cosa Nostra s’interessi a Berlusconi?
«E’ normale il fatto che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerca gli strumenti per potere questo denaro impiegare. Sia dal punto di vista del riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro. Naturalmente questa esigenza, questa necessità per la quale l’organizzazione criminale a un certo punto della sua storia si è trovata di fronte, è stata portata a una naturale ricerca degli strumenti industriali e degli strumenti commerciali per trovare uno sbocco a questi capitali e quindi non meraviglia affatto che, a un certo punto della sua storia, Cosa Nostra si è trovata in contatto con questi ambienti industriali».
E uno come Mangano può essere l’elemento di connessione tra questi mondi?
«Ma, guardi, Mangano era una persona che già in epoca ormai diciamo databile abbondantemente da due decadi, era una persona che già operava a Milano, era inserita in qualche modo in un’attività commerciale. E’ chiaro che era una delle persone, vorrei dire anche una delle poche persone di Cosa Nostra, in grado di gestire questi rapporti».
Però lui si occupava anche di traffico tre droga, l’abbiamo visto anche in sequestri di
persona…
«Ma tutti questi mafiosi che in quegli anni – siamo probabilmente alla fine degli anni ‘60 e agli inizi degli anni ‘70 – appaiono a Milano, e fra questi non dimentichiamo c’è pure Luciano Liggio, ( Se io faccio il mafioso a Palermo o il camorrista a Napoli e sento alla radio o in tv il presidente del Consiglio che dice "i giudici sono antropologicamente matti" e se questa frase è simile a quella detta anni prima da un capo mafia come Luciano Liggio, il mafioso crede che la democrazia sia più debole o più forte? La risposta è scontata, mi pare".)cercarono di procurarsi quei capitali, che poi investirono negli stupefacenti, anche con il sequestro di persona».

2 giorni dopo questa intervista, salta in aria Falcone con la moglie e la scorta.
50 giorni dopo tocca allo stesso Borsellino.
Berlusconi è diventato il nostro Premier e, come Dell’Utri, continua a sostenere di essere oggetto di un complotto basato su accuse fatte senza lo straccio di una prova.


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